La Formula 1 moderna ci ha abituato a rivoluzioni tecniche e manageriali continue, ma raramente assistiamo a situazioni dove l’immobilismo diventa strategia vincente, soprattutto nelle realtà che non funzionano. La Red Bull vive oggi questo paradosso: trattenere Pierre Waché non perché sia il migliore, ma perché cambiare sarebbe devastante, specie in un contesto di perpetua rivoluzione sublimata dal licenziamento di Christian Horner.
L’eredità di Adrian Newey pesa come un macigno su Milton Keynes. Le prestazioni della RB21 sono lì a dimostrarlo. Ma forse è l’incapacità di chiamarsi fuori dalla difficoltà nello sviluppare coerentemente ed efficacemente la vettura a fotografare l’imbarazzo tecnico che si vive nella compagine austriaca.

Red Bull e la trappola del timing
Nel Circus il timing è tutto. E per la Red Bull, il timing attuale è micidiale. Licenziare Waché oggi significherebbe ammettere pubblicamente il fallimento della successione post-Newey, ma soprattutto consegnare la rivoluzione regolamentare del 2026 a un team in piena riorganizzazione. Un suicidio in pieno stile.
La scuderia austriaca si trova imprigionata in una gabbia con pochi margini di manovra: non può permettersi di tenere un direttore tecnico che non convince, ma non può nemmeno permettersi di sostituirlo. È il classico stallo che nel motorsport può durare anni, trascinando con sé prestazioni mediocri e occasioni perdute.
Pierre Waché non è Adrian Newey. Nessuno lo è. Ma la Red Bull ha scommesso su di lui quando i giochi erano ancora aperti e ora deve convivere con questa scelta in un momento delicatissimo della propria storia.
Il mercato dei cervelli: quando il talento ha le catene
Chi conosce davvero i meccanismi del paddock sa che il mercato degli ingegneri di vertice funziona con regole opposte a quello dei piloti. Un driver può, ovviamente non senza difficoltà, cambiare monoposto da una gara all’altra; un direttore tecnico è prigioniero dei contratti e dei periodi di “gardening leave” che possono durare un anno intero. Ma non solo: il tempo per incidere una volta preso possesso dei nuovi uffici è lungo.
Questa rigidità contrattuale, nata per proteggere i segreti industriali, oggi rischia di paralizzare la Red Bull. Anche individuando il successore perfetto (esiste?), dovrebbe aspettare mesi prima di vederlo operativo. Nel frattempo, la concorrenza avanza e il 2026 si avvicina a grandi falcate.
La scuderia austriaca scopre così che nel motorsport moderno la flessibilità tattica conta più del talento puro. Non sempre vince chi ha i migliori ingegneri, ma chi sa gestirli al momento giusto.

Laurent Mekies: l’arbitro della situazione
L’arrivo di Laurent Mekies può cambiare le carte in tavola? Il francese porta con sé un bagaglio di esperienza trasversale che potrebbe rivelarsi decisivo nella valutazione di Waché. Ma certamente, da un punto di vista squisitamente tecnico, poco potrà fare per supportare lo staff ingegneristico di Milton Keynes.
In ogni caso, una delle prime missioni da affrontare sarà l’analisi delle forze a disposizione, un processo che determinerà non solo il futuro immediato di Waché, ma la credibilità stessa del progetto tecnico Red Bull per i prossimi anni. Mekies si trova nella posizione ideale per valutare senza pregiudizi: abbastanza esperto per capire i problemi gestionali, sufficientemente distaccato per prendere decisioni impopolari se necessario.
La Red Bull RB21: cartina di tornasole del futuro
I problemi della monoposto attuale non sono solo una questione di prestazioni immediate. Rappresentano il primo vero test della leadership tecnica post-Newey. Se Waché riuscirà a risolverli – e col fondo introdotto a Silverstone non si è del tutto trovata la quadra (leggi qui) – avrà dimostrato di meritare la fiducia riposta in lui. Se fallirà, la Red Bull dovrà confrontarsi con una verità scomoda: aver sbagliato la successione più importante della propria storia recente.
Max Verstappen continua a lottare per il titolo nonostante tutto, ma anche il campione olandese non può fare miracoli con una vettura che non risponde alle sue aspettative. La sua capacità di adattamento ha mascherato per mesi problemi strutturali che ora emergono prepotentemente. Ma la classifica piange. Quella dei costruttori è un disastro, quella piloti lo vede ormai lontano dal duo di testa Piastri – Norris.
La Red Bull ha costruito un impero sui dettagli tecnici e sulla perfezione aerodinamica. Perdere definitivamente questa identità significherebbe non solo compromettere i risultati sportivi, ma tradire la propria essenza competitiva. Pierre Waché ne è consapevole, Laurent Mekies pure. Il resto lo deciderà la pista.
Crediti foto: Oracle Red Bull Racing
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