Honda: l’etica del lavoro come motore delle vittorie in F1

Honda, nella sua lunga storia nel motorsport, ha sempre dimostrato di non volersi adagiare nella comfort zone. Ciò è alla base dei suoi straordinari successi in F1

Come la Honda è diventata il dominus della F1 senza rincorrere la gloria ma puntando a creare sempre nuovi stimoli?

Quando si parla di Giappone soggiungono alla mente concetti legati ad una morale basata sul lavoro e sull’abnegazione nello svolgerlo in maniera esemplare. E’ semplice, dunque, legare il popolo nipponico all’epopea dei Samurai che fondavano il loro agire sul Bushido, ossia su quel complesso di norme e consuetudini comportamentali che prevedono onestà, giustizia, coraggio, eroismo. Ma anche e soprattutto dovere, lealtà e onore. 

Viene da sé che per un giapponese non è contemplata l’idea di affrontare un qualcosa per pure spirito di mera partecipazione. La vittoria è un obiettivo da raggiungere tramite una ferrea tenacia che non ammette fallimenti o seconde vie. Un percorso che può essere arduo e tortuoso ma che deve sfociare nel raggiungimento dell’obiettivo prefissato. Ad ogni costo. 

E proprio questo sembra essere il cammino che la Honda sta compiendo in questi anni, da quando ha accettato di raccogliere il guanto di sfida delle motorizzazioni ibride pur essendo partita col suo programma molto in ritardo rispetto ai tre costruttori che già conoscevano la tecnologia: Mercedes, Ferrari e Renault . 


Honda: dal debutto da costruttore ai trionfi con la McLaren

La storia della “Grande H” in Formula Uno affonda le sue radici negli anni ’60 quando disputò cinque stagioni, a partire dal 1964. La RA271, la prima monoposto costruita dai nipponici, era equipaggiata con un motore V12 da 1500cc e fu la sorella maggiore di quella RA272 che, nel 1965, ottenne la prima vittoria in F1 con Richie Ginther nel Gran Premio del Messico.

Il trionfo del pilota statunitense fece da preludio ad un’altra vittoria, quella di John Surtees nella gara di Monza nel 1967. Ma il programma racing del costruttore asiatico non decollò e, dopo un mondiale 1968 molto deludente, i vertici di Tokyo decisero di abbandonare la Formula 1. Ma non per sempre. L’obiettivo era prepararsi al meglio per ritornare pronti. E vincenti. Dominando. 

Dopo un silenzio di 13 anni, periodo in cui gli ingegneri giapponesi lavorarono alacremente ad un progetto destinato a fare storia, Honda fece parlare nuovamente di sé. E non come team a tutto tondo, ma come fornitore di motori che avrebbero segnato in maniera indelebile gli anni ’80 i primi ’90.

Superfluo ripercorrere tutte le vittorie ottenute dai motori della “Grande H”, basta ricordare quali sono i nomi che si legano all’azienda giapponese: Tyrrell, Lotus, Williams, McLaren come team. Rosberg, Mansell, Piquet, Prost e Senna come piloti. Autentiche icone della F1 che sono potute diventare tali anche grazie alla spinta e al lavoro della Honda che dimostrò al mondo intero come si producevano motori vincenti, in grado di battere i più blasonati Ferrari, Ford, Porsche e via citando.

McLaren Mp4/4
L’iconica McLaren Mp4/4 motorizzata Honda con Ayrton Senna al volante

Mugen, BAR e il nuovo abbandono

Poi, quasi a sorpresa, dopo sei titoli costruttori e cinque tra i piloti, l’ennesimo ritiro quando il costruttore era ancora sulla cresta dell’onda. L’abbandono non fu totale: gli ingegneri della Honda contribuivano a sviluppare i motori Mugen che comunque portarono a casa tre vittorie di tappa tra gli anni ’90 e i 2000. Ma la fame di corse della casa di Tokyo non era sopita e, all’alba del nuovo millennio, ecco l’accordo di fornitura per il nascente team British American Racing.

Una storia che portò ad un secondo posto nel costruttori, nel 2004. Ma che consegnò alla dirigenza ben poche soddisfazioni. Che furono magre anche con l’altro team cui Honda forniva i motori: la Jordan. In questa nuova esperienza arrivò una sola, magra, vittoria con Jenson Button nel 2006. 

Un ritorno d’immagine poco efficace a fronte delle forze profuse e dei capitali investiti. Fatto che convinse i vertici del colosso automobilistico asiatico a ritirarsi nuovamente uscendo del tutto dalla BAR di cui deteneva il pacchetto di maggioranza.

Ciò che rimaneva della squadra, compresi i progetti relativi alla nuova vettura, fu acquisito da Ross Brawn che, con un capolavoro tecnico, riuscì a vincere il titolo mondiale del 2009 con Jenson Button. Oltre alla coppa costruttori. La BGP 001 era motorizzata Mercedes e forse questo smacco convinse i vertici a riaccendere il fuoco della passione racing che non s’era mai realmente e del tutto spento.

La sorprendente Brawn Gp BGP 001 che vinse il titolo 2009

L’era turbo-ibrida: dall’umiliante debutto al successo

Da qui il nuovo programma F1 basato sulle power unit ibride. Una sfida epocale per un’azienda che era chiamata a recuperare un gap tecnico-temporale importante. E per rientrare in grande stile nella massima formula si decise di puntare su un connubio che aveva dato grandissime soddisfazioni, quello con la McLaren.

Il team di Woking, dopo anni di proficue collaborazioni con Mercedes, rimase orfano dei tedeschi ed era alla ricerca di un motorista ambizioso dopo una stagione 2014 chiusa al quarto posto nei costruttori con una Mp4-29 progettata da Tim Goss ed equipaggiata dall’unità propulsiva ibrida che stradominò il campionato con Lewis Hamilton e Nico Rosberg. Stoccarda fece mancare il suo appoggio a Woking rivendendo ai vertici del team le quote di partecipazione che deteneva. 

Ron Dennis strinse, dunque, l’accordo con i motoristi del Sol Levante che avevano preparato il ritorno in pompa magna. Al volante il rientrante Fernando Alonso reduce da annate in chiaroscuro in Ferrari. Insomma, tutti gli ingredienti per mettere su qualcosa di indimenticabile. Cosa che è accaduta, ma non di certo in positivo. 

Tre stagioni, quelle 2015, 2016 e 2017, avare di soddisfazioni e piene di ritiri, penalizzazioni per sostituzioni di power unit e tensioni crescenti tra le parti che si accusavano reciprocamente per i fallimenti e le figure barbine fatte in giro per il mondo. Si passava dai commenti ironici sul rumore del V6 ibrido assimilato a quello di un trattore alle parole poco lusinghiere di un non certo diplomatico Alonso che, in un ormai famoso team radio, si lamentava urlando stizzito “Questo è un motore da Gp2“.

Un’umiliazione intollerabile per gli orgogliosi e risoluti nipponici che non esitarono a porre fine alla collaborazione con il team di Ron Dennis che, nel frattempo, pagò con la sua testa un accordo che, alla riprova della storia, ha fatto male ad entrambe le parti .

Spagna 2017: Fernando Alonso fermo in pista con la sua McLaren per un’avaria della power unit Honda

L’ingresso nel mondo Red Bull, il ritorno alla vittoria, il dominio

La stagione della svolta è quella 2018. La Red Bull è alle prese con un rapporto non più idilliaco con la Renault che, è bene ricordarlo, è stato il motorista che ha consentito al team anglo-austriaco di vincere quattro titoli costruttori consecutivi e altrettanti campionati piloti con Sebastian Vettel. Ma quando mancano le vittorie è facile che i legami possano modificarsi, incrinarsi e logorarsi in via irreversibile. Ed è proprio quanto è accaduto tra la casa della Losanga e il team sapientemente diretto da Chris Horner. Che lavorò di sagacia. 

Infatti, con la collaborazione dell’allora fedele Helmut Marko e con il placet di Franz Tost e soprattutto del boss Dietrich Mateschitz, la scuderia di Milton Keynes impose al suo team satellite, la Toro Rosso, di legarsi con la Honda abbandonando la Renault a fine 2017. La stagione 2018 è stata un lungo allenamento tecnico tramite il quale Adrian Newey e la sua equipe incamerarono dati preziosi per lo sviluppo della RB15. Ma non solo. 

La stessa Honda potette portare una serie di novità impressionanti nella calendarizzazione ben sapendo che la STR non avrebbe mosso eccezioni. Il team diretto da Tost accettò pienamente che le proprie vetture diventassero dei laboratori ambulanti. Cosa compresa anche da Pierre Gasly e Brandon Hartley che funsero da vere e proprie cavie con una serie di arretramenti in griglia figli e frutto dei continui aggiornamenti portati dagli ingegneri di Tokio.

Un percorso doloroso ma che ha portato frutti che ancora stanno raccogliendo in Red Bull. Innanzitutto sul versante affidabilità . Il V6 ibrido progettato dallo staff alle dipendenze di Toyoharu Tanabe migliorò sensibilmente in quello che era il suo tallone d’achille, ossia l’attitudine ad un’endemica ed inaccettabile fragilità. Ma non solo. 

Il motore nipponico crebbe repentinamente nelle performance tanto da mettere in scacco le più blasonate power unit Ferrari e Mercedes. Cosa che avvenne in una gara in particolare. A Max Verstappen fu dato via libera ad usare per quasi metà GP d’Austria la mappatura più aggressiva. Con risultati strabilianti in termini di potenza e trazione che permisero alla RB15 del talento olandese di non sfigurare nel duello velocistico con la Ferrari di Leclerc che aveva dominato per tutto il weekend sul fondamentale.

Red Bull – Honda: un matrimonio di grande successo (crediti foto: motorsport)

Il trionfo nel Gp d’Austria 2019 fu un segnale di forza a tutto l’ambiente perché arrivato in maniera perentoria e dopo una rimonta impetuosa di Max Verstappen che bruciò piloti del calibro di Sebastian Vettel, Valtteri Bottas e Charles Leclerc che sembrava avviato alla prima vittoria in carriera. Un’escalation prestazionale dopo una partenza a rilento che, ad un certo punto della gara, aveva relegato l’olandese a quasi 20 secondi dalla testa. 

Una manifestazione di autorità ancora più convincente poiché Zeltweg è una tracciato che esige grandi potenze. Honda, dunque, dopo un percorso tortuoso, faticoso e non privo di momenti imbarazzanti, gettò le basi per un futuro tecnico importante. Dopo cinque stagioni la “Grande H” aveva dimostrato, tra le alture della Stiria, di aver colmato il delta tecnico con le rivali più accreditate oltre ad aver ormai superato chiaramente la Renault che ancora oggi sembra non riuscire a raccapezzarsi con le le unità motrici ibride.


Honda: gli stimoli prima delle vittorie

Da quel momento è sorta una nuova consapevolezza che grazie alla determinazione, alla sapienza e all’etica del lavoro nipponica mirata alla massimizzazione dei risultati unite alle doti tecniche di Adrian Newey, il professionista più geniale ed iconico della F1 degli ultimi trent’anni, ha permesso alla Red Bull di aprire una straordinaria stagione di successi con la vittoria del titolo 2021 sulla sirena finale, evento che ha fatto da apripista al dominio tutt’ora in corso e del quale sarebbe superfluo raccontare dettagli e particolari. 

Red Bull – Honda è un connubio che è stato in grado di scalzare la Mercedes dalla sua posizione dominante e lo ha fatto già prima dell’entrata in corso di validità delle regole 2022. Non di secondo piano, naturalmente, è la posizione di Max Verstappen che si è letteralmente caricato il team sulle spalle sciorinando prestazioni da fenomeno. 

Honda poteva proseguire in questa comfort zone, invece ha deciso di far saltare il banco. Prima annunciando al mondo il ritiro, poi rivedendo le sue posizioni con un appoggio più defilato alla Red Bull e poi, in ultima battuta, abbracciando la causa della Aston Martin con la quale intende creare un altro pacchetto vincente. Cosa che avrebbe risvolti clamorosi visto che imporrebbe l’emersione di un soggetto che in Formula Uno non ha mai trionfato e che lo farebbe nell’era dei colossi dell’automotive che si sfidano sul campo dell’innovazione.

Honda, prima che trionfare in pista, vuole farlo nella corsa tecnologica. E le regole del 2026 sono un assist prezioso che in Giappone vogliono raccogliere. Ancor più dei risultati contano gli stimoli, le motivazioni, la voglia  di dimostrare a tutti che la base vincente non è rappresentata da chi costruisce le macchine, ma da chi in quei mezzi ci infila un cuore pulsante veloce e affidabile. 

Quella del 2026 potrebbe nuovamente essere una “formula motore”, una categoria che favorisce le vetture che possono contare sulla power unit che da subito si dimostra più pronta. Un po’ ciò che seppe fare Mercedes nel 2024. Honda punta ad essere questo.


Crediti foto: F1, Oracle Red Bull Racing, McLaren, Honda, McLaren, Brawn GP

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