L’abito rosso è un simbolo, un sogno proibito, un desiderio ardente. Se ne sta lì in un angolo dei nostri armadi e noi continuiamo a osservarlo, a bramare un’occasione che ci consentirà d’indossarlo sentendoci a nostro agio. Dimenticato a favore di più anonimi e confortevoli outfit grigi, neri o bianchi. Adorato, gioia per gli occhi e per la mente che può immaginare un altrove luccicante e sensuale in cui sentirsi diva o regina. Finalmente libera di seguire l’istinto, di fare una scelta impulsiva, di pigiare sull’acceleratore di un destino da colorare.
Probabilmente anche Hamilton ha avuto un pensiero simile, da appassionato di moda e di rosso. Le sue tute vincenti da gran gala erano e restano tutte declinate in colori sobri. Anche l’ultima versione black, nonostante il carattere e il messaggio che veicola, non riesce a competere con la fiammeggiante proposta marchiata Ferrari.
Lui stesso ammette: “Ogni pilota si chiede che cosa si possa provare a vestire la tuta della rossa“. A breve potrà farlo, ma, in questo 2024, gli toccherà solo sbirciare furtivamente l’agognato capo, fissarlo nella penombra delle ante, accarezzarne le maniche pregustando il momento in cui lambiranno le sue braccia intente a domare il volante con il cavallino.

Hamilton e il richiamo della tuta rossa
Lewis, da sempre originale, stravagante e spesso oltre le righe in tema di abbigliamento, ha sentito il richiamo di una semplice tuta rossa. Quella da cui far partire un progetto ambizioso, quella da cui far decollare un sogno cullato per troppo tempo.
Un collega malizioso, ironico e pungente – al secolo Fernando Alonso Diaz da Oviedo – con il ringhio d’ordinanza e la spaziosa mascella serrata che pare in procinto di mordere, ha sottolineato: “Mi sembra che fino a due mesi fa non fosse nei suoi sogni di bambino guidare una Ferrari“. Ma forse il buon Fernando, che continuiamo ad amare anche per l’acume e la verve polemica, questa volta potrebbe non avere ragione.
Intendiamoci, Hamilton molto spesso mostra un eccesso di compiacenza, ad esempio quando dichiara di preferire ogni circuito esistente nel calendario o beatifica qualsiasi tifoseria etichettandola come la più bella. Tuttavia, questa volta, l’entusiasmo che traspare nei confronti della Ferrari sembra quanto mai genuino. Lewis non ha fatto proclami in pompa magna, ma è parso più misurato, più parco e più schietto.
Ha usato parole pacate e gentili per descrivere il suo stato d’animo, non ha calcato la mano ostentando, con termini teatrali e altisonanti, ha scelto di raccontarsi e di raccontare ciò che lo ha mosso in modo lieve e composto. Ha trattato la vicenda con pudore e senza ostentazione, proprio come si fa con le cose preziose o con un desiderio espresso da tempo e finalmente esaudito.
“Un sogno sognato troppo a lungo” parafrasando Calvino, quasi inconfessabile, ipotizzato da tanti, costantemente smentito fino a poco più di tre settimane fa. Eppure potente, carico di molti più significati rispetto ai soliti noti che gli vengono attribuiti per consuetudine. Lewis ha scelto la Ferrari perché rappresenta una sfida?
Ovviamente. Riportare al successo un’icona che da troppo tempo non vince, che delude, che fa imprecare i tifosi, rappresenta il chiodo fisso di ogni pilota. Chiunque vorrebbe essere quell’eroe. Eppure sono fermamente convinta che a Hamilton non interessi vestire il mantello e probabilmente neppure necessariamente conquistare l’ottavo vessillo.

Lewis ha avuto molto e dimostrato tutto. Ha sorpreso al debutto, ha convinto con il suo primo mondiale, ha stupito scegliendo Mercedes. Ha consolidato il suo primato, mondiale dopo mondiale, con un’autorevolezza senza eguali. Infine è stato un gigante nell’accettare una sconfitta crudele e ingiusta.
E questo Hamilton battuto, imprigionato da una monoposto non più all’altezza degli antichi fasti, relegato tra gli altri, è forse stato la miglior versione di sé. Dopo la sbornia di trofei e di successi ha riscoperto il gusto di tornare a lottare, fosse anche per una posizione di rincalzo: ora non può più farne a meno.
E proprio questo nuovo Lewis sembra perfetto per conquistare la Ferrari. Non arriva da vincente per plasmarla a sua immagine e somiglianza, come fatto da Schumacher quasi un ventennio fa. Arriva da combattente, prendendola per mano, per iniziare un meraviglioso viaggio insieme. Un viaggio ancora senza meta, o forse verso l’isola (o l’iride) che non c’è. Al passo di un cavallino rampante che una volta sapeva volare, nei cieli come in pista. Al ritmo di un pilota che finalmente potrà indossare una tuta rossa, spalancando l’armadio dei suoi desideri.
Crediti foto: Mercedes AMG F1