Carlos Sainz lo ha detto chiaramente: “Il processo decisionale è durato troppo a lungo e ora Lewis Hamilton deve pagare a Monza per qualcosa che non c’entra nulla con Monza”. E come dargli torto?
La Formula 1 si riempie la bocca di modernità, tecnologia e precisione millimetrica, ma poi cade su una banalità disarmante: prendere una decisione in tempi umani. A Hamilton sono servite ore per ricevere una sanzione che avrebbe potuto (anzi, dovuto) scontare immediatamente a Zandvoort, con tanto di strumenti e commissari già pronti. Invece no: il verdetto (cinque posizioni di penalità in griglia, ndr) è arrivato con la lentezza pachidermica di un tribunale di provincia, trascinando la sanzione fino a Monza, dove il sette volte campione pagherà il conto di un pranzo mai consumato.
Sainz ha usato toni diplomatici, parlando di “collaborazione tra piloti, FIA e GPDA” per migliorare i processi. Ma la sostanza non cambia: la verità è che la Federazione Internazionale dell’Automobile continua a dimostrare un’incapacità cronica nel gestire l’immediatezza. E questo, in uno sport dove i decimi fanno la differenza, è un paradosso che grida vendetta.

Monza è il tempio della velocità, non il banco dei debitori della burocrazia FIA. La penalità a Hamilton sa di ingiustizia temporale, un colpo basso che non punisce l’errore nel momento in cui avviene, ma lo trascina in un’altra scena, cambiando equilibri e storie che con Zandvoort non hanno nulla a che vedere.
Se la Formula 1 vuole davvero crescere, deve smetterla di giocare al piccolo tribunale e iniziare a fare quello che ogni sport serio garantisce: certezza delle regole, immediatezza dei giudizi e rispetto per chi corre. Perché un errore a Zandvoort si paga a Zandvoort. Non a Monza, davanti al pubblico che merita spettacolo, non giustizia ritardata.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP, F1
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