I grandi campioni catalizzano l’attenzione, rubano la scena. Se questi si “sposano”, sportivamente parlando, con il marchio automobilistico più famoso del globo, allora il livello di attenzione mediatica cresce a dismisura, superando i livelli di guardia o semplicemente stuzzicando la reazione di chi, oltre alla pista, non tollera tutti questi orpelli comunicativi.
Questo scritto prende le mosse da un confronto avuto in redazione. L’argomento del dibattere, non sarebbe nemmeno il caso di sottolinearlo, verteva proprio sull’opportunità di riservare un tale clamore mediatico al primo giorno (che tale non è nei fatti) di Lewis Hamilton a Maranello.

Hamilton – Ferrari: sovraesposizione figlia dei tempi
Una parte della tifoseria e una buona fetta di osservatori, le frange più reazionarie e quindi più ancorate alla tradizione, non hanno espresso pareri lusinghieri per il battage creato sia dal pilota che dalla Ferrari, un’istituzione che si sarebbe snaturata per favorire un’operazione non in linea con la sua storia.
Tutti i pareri sono leciti, ci mancherebbe, ma non considerare il contesto è un errore madornale. Si è letto in giro, specie sui social, che ormai sono il termometro del tifo (e non solo), che in passato non si era manifestata un’analoga isteria, una copertura così profonda da risultare quasi morbosa. Falso. A mancare, in occasione di altri passaggi clamorosi come, ad esempio, quello di Michael Schumacher in rosso, erano proprio le piattaforme di scambio virtuale che oggi hanno cambiato il modo di fare informazione.
Quando il Kaiser vestì il rosso furono saturate le pagine di giornale, gli approfondimenti televisivi e tutti quegli altri mezzi attraverso i quali si faceva comunicazione in relazione alla Formula 1. A mancare era ovviamente il commento del tifoso, che passivamente subiva la notizia e ne poteva dibattere al classico bar, in un ambiente quindi ristretto. Oggigiorno il giudizio di ognuno viene sovraesposto e, con questa dinamica, sono proprio i soggetti coinvolti a giocarci.
Ecco che la Ferrari ha la necessità di sfornare, con cadenza quasi oraria, un contenuto social che viene ripreso e rilanciato da milioni di tifosi sparsi per tutto il mondo. La stessa cosa fanno Hamilton, la sua fanbase e, magari, tutti gli sponsor associati al pilota.
Normale che una giornata come quella di ieri si trasformi in un evento mediatico senza precedenti, ma figlio dell’attuale contesto storico. Arroccarsi dietro la tradizione, criticando questo meccanismo, nessuno me ne voglia, è anacronistico, antistorico e non al passo con un mondo che sta cambiando alla velocità della luce.
Tutte le ironie sulle foto nei luoghi storici della Ferrari, sul vestiario del sette volte campione del mondo, su John Elkann sorridente mentre gli stringe la mano, su Fred Vasseur che accoglie la stella della Formula 1 in maniera un po’ ingessata fanno parte del gioco, ma sostanzialmente incastrano anche i critici che, pur mostrando quella tipica puzza sotto al naso da tifoso duro e puro, diventano essi stessi parte del meccanismo contro il quale si scagliano.
È la comunicazione moderna, signore e signori. Ci siamo tutti coinvolti. Lo sono i fan, lo sono i protagonisti che vanno in pista, lo siamo noi che facciamo informazione e che abbiamo l’obbligo di raccontare un evento che ha una portata storica. Piaccia o non piaccia.
E poi lasciatemi dire un’ultima cosa: ma di quale argomento dovremmo parlare in un gennaio morente, con la Formula 1 ferma che produce solo notizie di contorno e congetture assortite?
A volte c’è la sensazione che si esprimano giudizi critici soltanto per il puro gusto di farlo o semplicemente perché Lewis Hamilton sta sulle scatole a qualcuno. E ci sta, perché i grandi campioni sono divisivi: o li si ama o, ovviamente sportivamente parlando, li si odia. Basterebbe semplicemente essere franchi nel fare questa premessa prima di lanciare strali preistorici.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP