Ferrari – Così non va bene. L’anno scorso Monza ci aveva regalato una giornata da incorniciare, ci siamo illusi fino all’ultima gara di poter vincere il mondiale costruttori che, alla fine, non è arrivato. Con quell’illusione ancora negli occhi abbiamo assistito prima all’entrata a Maranello del pilota più vincente di tutti i tempi e alla presentazione in pompa magna di vettura e squadra al completo, per poi scoprire amaramente che la SF-25 era nata male. Così non va bene.
Sono passati cinquant’anni da quando ho iniziato a tifare Ferrari. Cinquant’anni di attese, di illusioni, di pochi momenti di gloria e tanti di delusione, ma la fede nella Rossa non è mai stata in discussione.
Da bambino adoravo i piloti, forse perché soprannominati “i cavalieri del rischio”, forse perché alcuni di loro mi hanno fatto sognare con la tuta rossa. Lauda, Gilles, Mansell e Senna, Schumy e Raikkonen per arrivare a Sir Lewis e infine Leclerc. Mi hanno affascinato la McLaren degli anni ’80 e la Williams ipertecnologica, persino le Red Bull e le Mercedes che hanno dettato legge negli ultimi decenni. Il mio cuore era ed è sempre stato rosso, ma così non va bene.
Il problema è che da due decenni quella fede è costretta a nutrirsi quasi solo di ricordi. Il mito rimane intatto, il Cavallino continua a far battere i cuori, ma i risultati sono un’altra cosa. In cinquant’anni posso contare sulle dita di una mano i periodi in cui la Ferrari è stata davvero competitiva: poco più di un decimo del tempo. Troppo poco per una scuderia che porta sulle spalle il peso della storia e il privilegio di essere la squadra più famosa del mondo. Così non va bene.

Il presente che fa male
A Monza, pochi giorni fa, coscienti di aver disegnato una macchina con limiti evidenti, gli ingegneri in rosso hanno cercato di colmare il divario mettendo a punto un set-up estremo. Un assetto che ha richiesto ai piloti uno sforzo incredibile: un esercizio di guida al limite, giro dopo giro, come camminare sulle uova per ore. Charles Leclerc e Lewis Hamilton hanno dovuto sfidare la fisica per 53 tornate, soprattutto alle due curve di Lesmo, dove ogni ingresso era un salto nel buio e ogni uscita un equilibrio precario tra tenere la traiettoria o finire nella ghiaia.
Non era lo stesso spettacolo di Max Verstappen, capace di fare ogni da qualifica con una macchina che faceva esattamente quello che voleva lui, divertendosi. No: i due ferraristi hanno dovuto lottare contro la loro stessa monoposto, spremendo ogni goccia di talento e coraggio per restare in pista e agguantare a fatica una manciata di punti. Così non va bene.
Non è bastato. Non basta più. La Ferrari ha di certo esperti di marketing e fotografi sublimi che forse non hanno rivali per come riescono a trovare Reel che attirano giovani e meno giovani sui diversi social. Il popolo rosso sembra sempre più numeroso, riempie le tribune, invade la pista, ma dentro resta il vuoto: la consapevolezza che così non si vince, che così non si costruisce un futuro. È vero, la Ferrari non prende un giro, è quasi sempre la seconda forza, la prima degli altri. Il suo fondatore diceva: “Il secondo è il primo degli ultimi”. E questa frase, oggi, è una ferita che sanguina.

La fede che vacilla
E allora il grido del tifoso diventa domanda: cosa si dice il lunedì mattina, nelle stanze di Maranello? Quando al timone c’era il grande vecchio Luca Cordero di Montezemolo le leggende parlano di sfuriate epiche, di fermacarte che volavano sul tavolo delle riunioni, di pretese di risultati tangibili ed evidenti già alla gara successiva, team principal e ingegneri tremavano. A volte serviva, a volte no. Ma qualcosa si muoveva, sempre.
Oggi invece? In questo mondo addolcito dal politically correct, fatto di comunicati studiati, chi ha il coraggio di alzare la voce, di mettere la Ferrari davanti alle sue responsabilità? L’amministratore delegato è sempre sorridente, anche quando le sue auto arrivano quarta e sesta nel giardino di casa. Il presidente esulta per un giro veloce conquistato a fine gara da una vettura fuori dal podio.
Forse è questo che mi spaventa di più: non tanto i vent’anni senza titoli, quanto l’idea che a Maranello ci si sia abituati. E se davvero fosse così? Allora la domanda diventa inevitabile: ha ancora senso tifare Ferrari? Perché, davvero, così non va bene.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
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