Gp Spagna 1996 – Ricordo nitidamente quel giorno di 19 anni fa: era il 2 giugno 1996, una domenica come le altre, perché all’epoca non era ancora stata istituita la festa nazionale. Quella mattina ero contrariato, perché avevamo ospiti a pranzo e non avrei potuto guardare il Gran Premio con la giusta tranquillità, ovvero immerso totalmente nel televisore!
Al sabato, le qualifiche avevano regalato un buon terzo posto in griglia a Michael Schumacher, ma il distacco era impietoso: addirittura un secondo. Questo lasciava ben poche speranze per la gara, che si presentava come già scritta. L’unico motivo di interesse sembrava il solito duello in casa Williams, tra Damon Hill e il giovane rampante Jacques Villeneuve.
La domenica mattina mi svegliai già proiettato verso il Gran Premio, e scoprii con grande gioia che il warm-up si era disputato sul bagnato. In quelle condizioni, la Ferrari del tedesco diede sensazioni molto positive e l’impressione di potersela giocare alla pari con la Williams (quella sì che era un’astronave…).
Il 1996 fu un anno di svolta per il Cavallino Rampante: il primo dell’era Jean Todt, con la squadra completamente ristrutturata e pronta per iniziare a vincere.
Quella giornata arrivò in un periodo dolceamaro per noi tifosi ferraristi. C’era eccitazione per questa nuova squadra, finalmente riorganizzata, con un progettista di primo livello come John Barnard, che con la sua antenna tecnologica Ferrari Design and Development in Inghilterra sembrava essersi finalmente integrato con la sede di Maranello. Ma c’era anche una certa delusione per la F310: bellissima e futuristica con quel doppio fondo che faceva sognare, era nata con grandi aspettative, ma nei test e nelle prime gare si era mostrata fragile e difficile da mettere a punto. Comunque, molto indietro rispetto alla FW18.

La pioggia torrenziale: l’elemento chiave per ribaltare la situazione tecnica e permettere al talento dei piloti di venire alla luce
Quel giorno in Spagna, la pioggia era copiosa e la pista abbondantemente allagata, con visibilità ridottissima: condizioni per le quali oggi non si correrebbe, ma quasi 20 anni fa questo non era visto come un problema così grave, e si potevano ancora scrivere pagine di storia.
Personalmente, non ho mai amato Michael Schumacher per il suo modo di correre, spesso sporco e senza guardare in faccia a nessuno. Sono amante dello sport e dei suoi valori e ho sempre pensato che vincere non sia tutto. Ho sempre preferito, di gran lunga, sconfitte onorevoli a vittorie ottenute con scorrettezze. Ma sono ben consapevole che il mio pensiero non sia condiviso da molti.
Michael Schumacher, comunque, è stato un fuoriclasse. Un pilota fortissimo, di fronte al quale bisogna soltanto togliersi il cappello. Quando fu ingaggiato, pensai che fosse l’unico con cui si potesse davvero vincere. E in quella gara che stava per iniziare, in quel diluvio incredibile, avrebbe marchiato a fuoco la sua leggenda.
Pochi piloti sono capaci di esaltarsi sotto la pioggia e fare davvero la differenza, andando oltre il mezzo meccanico. Michael Schumacher era certamente uno di questi.
Nel 1996, i favoriti per la vittoria non erano molto avvezzi alla pioggia: Jacques Villeneuve non l’ha mai digerita, Damon Hill sapeva esaltarsi ma solo in talune circostanze (farà a sua volta un capolavoro in Giappone), Mika Hakkinen e David Coulthard si difendevano bene ma senza brillare particolarmente. Solo Jean Alesi era un vero asso sul bagnato e lo dimostrò quella domenica, ma non fu sufficiente.

Gp Spagna 1996: una gara entrata nella leggenda
Veniamo alla gara, che non iniziò nel migliore dei modi, ma bastarono pochi giri per capire come sarebbe andata. Alla partenza, la Ferrari numero 1 partì male e retrocesse addirittura in settima posizione, mentre nella pancia del gruppo abbondavano le collisioni. Era difficile capirci qualcosa da casa, figuriamoci nell’abitacolo!
Già nei primissimi giri, Eddie Irvine e Damon Hill finirono fuori pista, e Michael Schumacher fece scattare l’interruttore, cominciando la sua cavalcata. Un po’ come faceva Sylvester Stallone nel film Over the Top, girando all’indietro la visiera del cappellino: e così iniziò a scalare posizioni, superando nell’ordine Rubens Barrichello, Gerhard Berger, Jean Alesi e Jacques Villeneuve, portandosi in testa già al tredicesimo giro.
Fino a qui, una rimonta fenomenale, ma non inedita. Poi, però, Michael Schumacher andò molto oltre, perché riusciva a girare esattamente quattro secondi al giro più veloce di tutti! Una enormità per la Formula 1. E questo ritmo venne mantenuto giro dopo giro, macinando record su una pista talmente difficile che solo sei piloti arrivarono al traguardo: di questi, secondo e terzo a 45 secondi, e tutti gli altri doppiati!
Un patema d’animo per noi tifosi, sia per l’altissima probabilità di incidenti, anche legati a quel ritmo assurdo che il campione tedesco si ostinava a tenere nonostante i distacchi siderali, sia per i problemi di affidabilità, che a quell’epoca erano molto frequenti.
Una luce in fondo al tunnel: Michael Schumacher era l’uomo della provvidenza che aspettavamo da anni
Era dai tempi di Ayrton Senna che non si vedeva un pilota danzare sotto la pioggia in quel modo e ridicolizzare gli avversari. Venivamo da anni molto bui, illuminati solo dalla vittoria di Berger a Hockenheim nel 1994 e di Alesi a Montreal nel 1995. Ma questa vittoria aveva un sapore diverso, perché fu un dominio assoluto, e una cosa del genere era impensabile in quegli anni.
Michael Schumacher, quel giorno, ci restituì la speranza e la consapevolezza che la Ferrari era tornata a essere la Ferrari. E che finalmente anche noi tifosi potevamo iniziare a crederci. Lui, però, si consacrò come leggenda.
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