“Commenti fatti prima della fine e immediatamente dopo il GP del Qatar che suggerivano che il pilota Mercedes Kimi Antonelli avesse deliberatamente lasciato passare Lando Norris sono chiaramente errati. Le immagini del replay mostrano che Antonelli ha perso momentaneamente il controllo della vettura, permettendo così a Norris di superarlo. Ci rammarichiamo sinceramente del fatto che questo abbia portato Kimi a ricevere abusi online“.
Quello che avete appena letto è il comunicato prodotto dalla Red Bull dopo che alcuni suoi membri – Helmut Marko e Gianpiero Lambiase nello specifico – si erano scagliati contro Andrea Kimi Antonelli, reo, nella loro visione accalorata, di essersi deliberatamente spostato per avvantaggiare Lando Norris a scapito di Max Verstappen. Una falsità smentita da ogni immagine e ricostruzione che però ha scatenato un putiferio di commenti indegni che hanno costretto il bolognese ad oscurare parzialmente i propri profili social.

Red Bull: un comunicato “azzoppato”
Che una squadra prenda posizione contro gli attacchi online verso un giovane pilota è sempre un bene. Che ammetta che le accuse circolate fossero infondate, anche. Ma qui non stiamo parlando di voci casuali, né di speculazioni nate nel sottobosco dei social. Il caso Antonelli–Norris, come evidenziato qualche riga su, lo hanno alimentato figure precise del mondo Red Bull, ed è questo il punto che rende le scuse pubblicate dal team un gesto corretto, sì, ma insufficiente.
Le parole comparse nella nota ufficiale cercano di mettere un punto a una narrativa tossica secondo cui Kimi avrebbe volontariamente favorito Lando Norris nel GP del Qatar. Una ricostruzione semplicemente falsa, spazzata via dalle immagini: il pilota Mercedes ha perso la vettura, lasciando spazio a Norris in maniera del tutto involontaria. Fine della storia. O almeno, dovrebbe esserlo.

Il problema è che a raccontare una storia diversa, a montare un caso sul nulla, sono stati volti ben noti come Helmut Marko e Gianpiero Lambiase (quest’ultimo bacchettato in favore di camera da Toto Wolff). Figure di peso, influenti, perfettamente consapevoli del peso delle proprie parole in un paddock che vive di tensioni, rivalità e sospetti. Parole che, inevitabilmente, vengono amplificate e interpretate come verità assolute dalla parte più rumorosa e indegna – sì, indegna – del pubblico.
E così, mentre un diciannovenne alla sua prima stagione in Formula 1 diventava bersaglio di insulti e accuse, chi aveva alimentato il sospetto rimaneva in silenzio. Alla fine le scuse sono arrivate, ma da un comunicato generico del team: istituzionale, pulito, asettico. Una toppa necessaria, certo. Ma non quella giusta.
Perché se le accuse nascono da personaggi specifici, la responsabilità di correggerle dovrebbe ricadere sugli stessi. Sarebbe stato molto più rispettoso, e soprattutto molto più credibile, vedere Helmut Marko e Gianpiero Lambiase esporsi in prima persona, riconoscere l’errore e smontare pubblicamente la narrazione che loro stessi avevano contribuito a creare.

Così invece resta quella sensazione amara: quando il danno è fatto, tocca spesso ai comunicati corporate rattoppare i buchi lasciati da dichiarazioni avventate. È un bene che Red Bull abbia preso posizione, ma nel mondo della Formula 1 – dove le parole pesano quanto i centesimi di secondo – sarebbe bello che la responsabilità fosse assunta direttamente da chi, quelle parole, le pronuncia.
Antonelli merita scuse un pizzico più sentite. E soprattutto merita un paddock che non trasformi ogni episodio in un caso mediatico solo per spirito di rivalità. Oggi il chiarimento arriva forse dalla voce sbagliata. Domani, si spera, potrà andare diversamente.
Crediti foto: Oracle Red Bull Racing
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