GP Olanda 2025, analisi telemetria – Il confronto tra Oscar Piastri, autore della pole position con 1:08.662, e Charles Leclerc, sesto con un 1:09.304, restituisce una lettura tecnica chiara delle differenze tra due interpretazioni di guida e due monoposto con comportamenti profondamente diversi. L’analisi dei tre settori di Zandvoort evidenzia come la McLaren abbia garantito al pilota australiano una piattaforma stabile e progressiva, mentre la SF-25 del monegasco ha mostrato limiti di trazione, gestione dell’acceleratore e stabilità nei tratti in appoggio.
La distanza complessiva di 642 millesimi non è il risultato di un singolo errore, bensì l’accumulo costante di piccole perdite in ciascun settore, che sommate costruiscono il margine netto di Piastri. Per comprenderne la genesi è necessario scomporre il giro nei suoi elementi, osservando velocità, utilizzo dell’acceleratore, regime di giri e progressioni di marcia. Di seguito il compare sul giro totale, poi l’analisi dei tre settori.
Primo settore: la differenza si scrive in continuità
Zandvoort apre con una sequenza di curve a medio-alta velocità che mettono subito in luce il bilanciamento meccanico e aerodinamico della vettura. Nel tratto iniziale Piastri adotta uno stile di guida che si distingue per continuità di gas e precisione negli inserimenti: il suo grafico throttle mostra modulazioni brevi, mai interrotte da rilasci completi se non nei punti in cui è obbligato dalla geometria del tracciato. Questo gli consente di mantenere velocità medie superiori, con punte di 7-10 km/h più alte rispetto a Leclerc nell’affrontare le prime curve veloci.
Il monegasco, al contrario, appare costretto a frammentare la propria azione. La telemetria rivela piccoli alleggerimenti dell’acceleratore che non sembrano derivare da errori personali ma da una necessità di stabilizzare la vettura. L’RPM line della Ferrari oscilla in modo più marcato, segno che il retrotreno non trasmette la stessa fiducia e che i passaggi di marcia non sono fluidi come quelli di Piastri. Già in questa fase iniziale il delta tempo comincia a scivolare sotto i tre decimi, un margine che non può essere colmato nei rettilinei, troppo corti per un recupero di pura potenza.
In termini di rapporti del cambio, Piastri si mantiene più a lungo nelle marce intermedie, sfruttando meglio la coppia della McLaren e riducendo il numero di cambi. Leclerc anticipa alcune scalate, probabilmente per forzare l’inserimento, ma così facendo genera fasi di transizione che interrompono la fluidità. È un dettaglio, ma in un settore così breve e scorrevole vale già diversi centesimi.

Secondo settore: la zona rossa del cronometro
Il cuore di Zandvoort è il secondo settore, ed è qui che si materializza il grosso della differenza. Tra curva 7 e curva 10, quelle più dure per la SF-25 come confermato da Fred Vasseur, il tracciato alterna pieghe veloci in appoggio a staccate secche, un banco di prova totale per il bilanciamento.
Il grafico speed mostra in modo inequivocabile come Piastri riesca a disegnare una curva di velocità più lineare, senza oscillazioni e con una perdita minima nei punti di maggior compressione laterale. La sua McLaren appare incollata all’asfalto, tanto che l’australiano può permettersi di rimanere in pieno o quasi in tratti dove Leclerc deve invece alzare il piede. Il throttle di quest’ultimo è una sequenza di sali e scendi più pronunciati: rilasci completi seguiti da riaperture brusche, che obbligano la vettura italiana a fasi di riassetto e riducono la velocità media.
Proprio in corrispondenza della chicane centrale, il delta tempo subisce l’impennata più netta: da -0.3 secondi si scivola a -0.5, un abisso che fotografa non tanto un singolo errore, quanto la difficoltà della SF-25 a generare stabilità in transizione. L’RPM line di Leclerc è una sinusoide nervosa, con cali più marcati in frenata e riaperture tardive rispetto a Piastri. Quest’ultimo mantiene il motore sempre in un regime ottimale, restando più a lungo nella zona alta del contagiri e capitalizzando in uscita.
Le marce confermano la differenza: Piastri tende a portare il rapporto più vicino al limitatore, sfruttando la trazione McLaren, mentre Leclerc anticipa il cambio per ridurre pattinamenti che la telemetria mostra evidenti in uscita dalle curve lente. Questa divergenza di filosofia è il tratto più emblematico: l’australiano può fidarsi del grip, il monegasco deve gestire un equilibrio precario.
Il risultato è che all’uscita di curva 10, quando ci si proietta verso il tratto che porta al terzo settore, Piastri ha già costruito oltre mezzo secondo di vantaggio. La Ferrari non ha margine per replicare, e Leclerc è costretto a rassegnarsi a un cronometro che racconta di un settore in cui è particolarmente recessivo.

Terzo settore: la trazione che non c’è
Il tratto finale di Zandvoort è breve ma estremamente selettivo: due curve medio-lente e l’allungo verso il traguardo, una zona dove la capacità di trasferire coppia a terra diventa decisiva.
Qui Piastri mostra ancora una volta un grafico dell’acceleratore scolpito: ingressi anticipati, progressione rapida e lineare, nessuna esitazione. La velocità cresce con una curva quasi geometrica, a testimonianza di una McLaren che non accenna a pattinamenti né a correzioni.
Leclerc, invece, soffre proprio nella fase critica della riapertura del gas. Il suo pedale è frastagliato, con piccoli rilasci e correzioni che rallentano la progressione. La speed chart mette in evidenza un deficit costante di circa 5-7 km/h in accelerazione, che non potrà più essere recuperato nell’allungo conclusivo. A questo si aggiunge una gestione marce meno incisiva: il monegasco cambia prima, cercando di ridurre le perdite di trazione, ma così facendo rinuncia a quell’extra di accelerazione che Piastri invece sfrutta pienamente.
Il delta time nell’ultimo tratto non cresce più in modo drastico, segno che Leclerc riesce a contenere i danni, ma resta stabile sul margine di 0.6 secondi. È la conferma che la Ferrari non aveva armi per reagire: una vettura fragile nelle curve medio-lente e incapace di garantire stabilità in appoggio non consente al pilota di rischiare. Né di trovare soluzioni alternative.

La fotografia telemetrica del confronto tra Piastri e Leclerc a Zandvoort è chiara. Tre differenze emergono con evidenza:
- Continuità nell’uso del gas: Piastri ha mantenuto una progressione lineare e stabile, mentre Leclerc ha dovuto spezzare il ritmo con alleggerimenti e correzioni;
- Gestione del regime motore: l’australiano ha saputo restare più a lungo nella fascia ottimale degli rpm, garantendo velocità in uscita, mentre il monegasco ha oscillato con cali più marcati;
- Trattamento delle marce: McLaren permette rapporti più lunghi e sfruttati fino al limite, Ferrari costringe a cambi anticipati che interrompono la progressione.
Il risultato non è un distacco nato da un singolo episodio, ma un mosaico di piccoli dettagli che, uniti, raccontano la supremazia tecnica e di interpretazione di Piastri. Le qualifiche di Zandvoort rimarranno così la cartina di tornasole di due realtà opposte: da un lato una MCL39 che offre fiducia al pilota, dall’altro una SF-25 che costringe Leclerc a difendersi, incapace di permettergli di esprimere quella continuità di guida che rappresenta la sua arma migliore.
Crediti foto: Formulacritica
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