In F1 la gestione termica dei freni è un elemento cruciale – in scala minore in realtà lo è anche per te che guidi quella Grande Punto Sport come se fossi fra le montagne della Transfăgărăşan.
Spesso sottovalutata dal pubblico ma fondamentale per garantire prestazioni ed affidabilità delle monoposto, l’impianto frenante è chiamato ad operare silenziosamente, lontano dai riflettori ed in una finestra termica molto specifica: freni troppo freddi non garantirebbero infatti l’efficienza frenante richiesta, troppo caldi rischierebbero invece di degradarsi rapidamente, compromettendo il controllo della vettura – ed il Gran Premio; l’impianto frenante è chiamato quindi a sopportare temperature che possono superare anche i 1000 °C e per resistere a questo inferno le monoposto adoperano dischi e pastiglie in materiale composito a base di carbonio, in grado di assicurare leggerezza ed al contempo resistenza con il risultato di prestazioni elevate, previo opportuno riscaldamento come anticipato, per permettergli di entrare a regime in modo ottimale.

Ma quindi basta usare il giusto materiale per assicurare queste prestazioni? No, in realtà, perché comunque le temperature che vengono a determinarsi nelle zone d’interesse sarebbero tali da non permettere una continuità di esercizio dell’impianto, visto anche che lo stesso condivide lo spazio con altre componenti dove, l’innalzamento oltre una certa soglia della temperatura, rischierebbe la loro compromissione.
La soluzione si chiama brake ducts, letteralmente condotti solidali alla struttura dell’impianto frenante e studiati per sfruttare l’aerodinamica della monoposto canalizzando l’aria che la vettura investe, direzionandola verso gli elementi sensibili dell’impianto stesso, allo scopo di garantire le prestazioni mantenendo la temperatura controllata, oltre che utilizzare lo stesso flusso anche per altri scopi: della serie non si butta via nulla.
Il calore generato dai freni può essere infatti sfruttato, canalizzandolo opportunamente, per portare anche nella giusta finestra di temperatura ad esempio le gomme posteriori, migliorando così tutti quegli aspetti di aderenza pneumatico-pista, che consentono alle monoposto di scaricare a terra quelle mostruose coppie in gioco – ovviamente anche a questo c’è un limite però, altrimenti avremmo gomme più simili ad un ghiacciolo lasciato sotto al sole.
Ma in tutto questo, come è fatto un disco da F1? Inizialmente i dischi utilizzati in Formula 1 avevano dimensioni più limitate rispetto agli odierni, ed un numero di fori al di sotto del centinaio – ah, non vi ho detto questo, per aumentare la superficie di scambio termico vengono realizzati questi microforellini sulla superficie del disco, che aiutano così a dissipare più rapidamente il calore.
Ad oggi la situazione in Formula 1 si è notevolmente evoluta, con dischi arrivati a diametri di poco sopra i 320 mm, uno spessore maggiore ed un numero di microforellini prossimo a 1000, allo scopo di estremizzare il concetto di dissipazione.

In tutto questo ci sono poi le pinze freno, realizzate in lega di alluminio ricavate dal pieno – chicca per garantire leggerezza e limitare l’insorgere di possibili difetti – che schiacciano pastiglie in materiale composito in carbonio, sfruttando fino a 6 pompanti.
Concludo dicendovi solo che questi freni consentono alle attuali monoposto di decelerare da velocità poco superiori a 300 km/h a 75 km/h in soli 122 metri e per farlo i piloti hanno bisogno di schiacciare il pedale del freno per soli 2,86 secondi, esercitando un carico di 129 kg, mentre la potenza frenante che si viene a sviluppare è di ben 2100 kW: considerate che con questa energia potreste far bollire l’acqua di 100 vasche da bagno piene in una sola ora.
Pensateci la prossima volta che andrete a schiacciare il pedale del freno.
Crediti foto: Chiara Avanzo, AMuS
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