Da qualche stagione a questa parte, la Formula 1 sembra essere diventata un palcoscenico non solo per i motori, ma anche per il marketing. Caschi speciali, livree celebrative, merchandise in edizione limitata: ogni GP è accompagnato da un nuovo “costume” che piloti e team sfoggiano con orgoglio. Dalla palla da basket di Lando Norris a Miami alla variante Gulf della McLaren a Monaco, la regola non scritta è chiara: ogni tappa del mondiale deve avere il suo “pezzo da collezione”.
Ma viene da chiedersi: se un pilota arriva al weekend senza il casco celebrativo, quel GP è automaticamente meno interessante?
Il casco non fa più il pilota
Un tempo, il casco era il segno distintivo del pilota. Senna giallo, Schumacher rosso, Hakkinen azzurro, Stewart col suo inconfondibile tartan: riconoscere un campione dal casco era un gesto d’amore verso lo sport. Oggi, invece, ogni weekend (e a volte anche ogni sessione) è accompagnato da un nuovo design, tanto da rendere difficile sapere chi c’è sotto quel guscio colorato.
E allora che senso ha la presentazione del “casco ufficiale” a inizio stagione? Lo si vede in pista solo per i primi test e per gli scatti promozionali, poi viene subito messo da parte per fare spazio alla prossima trovata grafica. Il casco è diventato un accessorio di marketing, non più un’estensione dell’identità del pilota.
Livree ed edizioni limitate: il GP diventa un festival
Anche le scuderie si sono lasciate travolgere dall’onda. Ogni GP “iconico” (Miami, Las Vegas, Montecarlo, Suzuka) è accompagnato da una livrea speciale, che diventa subito contenuto social e materiale da vendere nei negozi ufficiali. La macchina da corsa diventa vetrina su ruote, e ogni variazione estetica finisce per rubare la scena ai risultati in pista.
Giving the VCARB 02 a Miami makeover 🩷#F1 #VCARB #MiamiGP pic.twitter.com/foGBH9v96N
— Visa Cash App Racing Bulls F1 Team (@visacashapprb) April 30, 2025
Sembra quasi che l’attenzione si sposti: se il team non cambia livrea o non lancia una nuova capsule collection, quel weekend viene percepito come meno “eventoso”, meno degno di nota. Ma davvero la spettacolarizzazione esterna deve determinare la percezione del valore sportivo di un Gran Premio?
Quando lo show supera lo sport
Non per mortificare il lavoro di disegna caschi come la palla da discoteca di Lando Norris, ma la domanda è lecita e provocatoria: se un pilota non ha il casco speciale e il team non sforna una nuova maglia da 150 euro, quel GP è considerato “inutile”? Perché si ha l’impressione che, senza questi elementi accessori, una gara venga quasi snobbata dal pubblico generalista e da una parte della stampa.
La risposta, forse, sta nella direzione che la Formula 1 ha preso: da sport elitario a prodotto di intrattenimento globale, dove ogni dettaglio è una potenziale vendita, un post virale, una storia da raccontare su Instagram. Ma in questo processo di trasformazione, c’è il rischio di perdere il legame autentico con ciò che accade in pista: i sorpassi, le strategie, le lotte vere.
Il valore di un GP non è nella grafica, ma nella gara
È giusto apprezzare il marketing creativo, le collaborazioni artistiche e il merchandising esclusivo. Ma la vera essenza della Formula 1 dovrebbe rimanere il duello tra piloti e ingegneri, non tra art director e brand manager. Il rischio è che, abituandosi allo spettacolo visivo, si perda il gusto per lo spettacolo sportivo.
Un GP non dovrebbe aver bisogno di un casco dorato o di una tuta fluorescente per essere memorabile. Dovrebbe bastare una gara tirata fino all’ultimo giro.