Nel mese di Dicembre la FIA sarà chiamata a eleggere il proprio presidente, ma il voto rischia di trasformarsi in una semplice formalità. Mohammed Ben Sulayem, attuale numero uno della Federazione, sembra infatti l’unico candidato realmente in corsa per la rielezione. Ufficialmente le candidature presentate sono quattro – oltre a lui figurano Tim Mayer, Laura Villars e Virginie Philipott – ma solo il primo è un nome riconoscibile nel panorama sportivo internazionale. Ma, a discapito del peso, anche per lui la strada appare pressoché sbarrata.
Negli anni non sono mancati tentativi di costruire un’alternativa al leader emiratino: Carlos Sainz Sr. aveva valutato seriamente la possibilità di presentarsi alla tenzone elettorale, prima di rinunciare; David Richards, altro potenziale sfidante di peso, non si è mai mosso concretamente. Oggi, però, la vera barriera non è politica, bensì normativa.

FIA – Le regole che blindano il potere
Ben Sulayem, negli anni del suo primo mandato, ha ridisegnato il regolamento elettorale in modo tale che ogni sfidante debba affrontare una corsa a ostacoli ardua da superare. Entro il 24 ottobre, infatti, chiunque voglia presentarsi dovrà depositare non solo la propria candidatura, ma anche la lista completa della propria “squadra presidenziale”: dieci figure, tra cui il Presidente del Senato FIA, il vicepresidente per la mobilità e il turismo, e ben sette vicepresidenti per il settore sportivo.
È proprio in quest’ultima sezione che si nasconde la vera trappola. I vicepresidenti sportivi possono essere scelti soltanto tra un elenco chiuso di 28 nomi, tutti appartenenti al World Motor Sport Council. E a rendere il gioco ancora più difficile interviene la regola della “diversità geografica”: i sette vicepresidenti devono provenire da aree diverse del mondo: due dall’Europa, uno dal Nord America, uno dal Sud America, uno dall’Asia-Pacifico, uno dal Medio Oriente e Nord Africa e uno dall’Africa.
Un principio nobile sulla carta, ma devastante nei fatti. Nella lista dei 28 eleggibili, infatti, c’è un solo nome sudamericano: Fabiana Ecclestone, moglie di Bernie e già membro dell’attuale esecutivo FIA. E, guarda caso, Fabiana sostiene apertamente Ben Sulayem. In altre parole, nessun altro candidato può rispettare i requisiti geografici perché non esiste un’alternativa valida per il Sud America.
La situazione non migliora guardando all’Africa: i soli due rappresentanti ammessi all’elenco sono anch’essi schierati con Ben Sulayem. A conti fatti, nessuno degli eventuali sfidanti può neppure formalizzare la propria candidatura.

FIA – Fine partita, prima ancora del via
Il risultato è paradossale. Non è che gli avversari del presidente uscente fatichino a vincere: semplicemente, non possono nemmeno concorrere. Il sistema elettorale costruito da Ben Sulayem ha trasformato la presidenza FIA in un fortino difficilmente espugnabile. Per cambiarne la guida servirebbe ormai una vera e propria insurrezione interna, una “rivoluzione di palazzo” che il complesso sistema di poteri e alleanze rende praticamente irrealizzabile.
Due anime in conflitto
Dietro questa apparente stabilità si nasconde però una frattura storica che accompagna la FIA sin dalle origini: la coesistenza di due anime con interessi spesso divergenti, quella della mobilità e quella dello sport.
A differenza di altre federazioni, l’ente di Place de la Concorde non nasce come un organismo puramente sportivo. Le sue fondamenta affondano nei club automobilistici nazionali, associazioni nate per tutelare i diritti e gli interessi degli automobilisti. Nel tempo questi stessi club hanno assunto anche un ruolo nella gestione delle competizioni, creando una struttura ibrida in cui coesistono obiettivi molto diversi: da un lato la sicurezza stradale, l’educazione alla guida e la sostenibilità ambientale; dall’altro la gestione del motorsport, che resta la principale fonte di visibilità e di entrate economiche per la Federazione.
In molti paesi oggi le due sfere sono state separate, con federazioni sportive autonome, ma in altri – soprattutto nei mercati emergenti – la distinzione è ancora labile. Alcune nazioni, inoltre, vantano più di un club automobilistico affiliato, complicando ulteriormente la mappa del potere interno.

Il peso politico della FIA
È importante ricordare che la FIA non è solo la “casa” della Formula 1. Il suo ruolo politico è riconosciuto dalle Nazioni Unite, che la considerano interlocutore privilegiato in materia di sicurezza stradale, riduzione delle emissioni e mobilità sostenibile. Proprio in questo ambito nascono progetti come i test di sicurezza NCAP, la parte più visibile dell’attività non sportiva dell’organizzazione.
Eppure, è lo sport a muovere le leve economiche e d’immagine. E finché la componente sportiva sarà fortemente controllata dall’attuale gruppo dirigente, qualunque velleità di rinnovamento resterà congelata.
Le prossime elezioni FIA, in chiusura, non saranno una battaglia politica, ma la conferma di un sistema perfettamente calibrato per garantire continuità. Ben Sulayem potrà essere rieletto senza nemmeno dover affrontare un vero dibattito, grazie a regole che – in nome della rappresentanza globale – hanno di fatto azzerato la competizione interna. Un equilibrio di potere che, almeno per ora, rende la FIA un organismo democratico solo sulla carta.
Crediti foto: FIA, F1
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