Le parole di Riccardo Patrese, rilasciate al Quotidiano Nazionale, hanno il merito raro di colpire il centro del problema Ferrari senza ricorrere a slogan o scorciatoie emotive. Il bersaglio non è il singolo errore, il pit stop sbagliato o la strategia infelice della domenica, ma la sostanza di un progetto che, a distanza di tre anni, continua a produrre più interrogativi che certezze. E il nome che inevitabilmente finisce sotto la lente è quello di Fred Vasseur.
“John Elkann ha un bel da dire che i pit stop delle Rosse sono i più veloci al mondo. Ma poi cosa te ne fai se a Leclerc e Hamilton dai una macchina tre decimi al giro più lenta?”, osserva l’ex Williams. È una considerazione che sintetizza perfettamente il paradosso Ferrari contemporaneo: l’eccellenza operativa elevata a foglia di fico di una competitività tecnica insufficiente. La Ferrari di Vasseur è spesso impeccabile nel dettaglio, ma carente nella visione d’insieme. E in Formula 1, come insegna la storia del Cavallino Rampante, i decimi contano più delle statistiche da presentazione aziendale.
Il punto sollevato dall’ex pilota non è banale, perché scardina una delle narrazioni più ricorrenti della gestione Vasseur: quella del “prima sistemiamo i processi, poi arriveranno le prestazioni”. Il problema è che i processi sono stati effettivamente sistemati, almeno in parte, mentre le prestazioni continuano a non arrivare. O, peggio, arrivano in modo episodico, senza una traiettoria chiara di crescita.
Patrese va oltre e affonda il colpo sul piano manageriale: “Veniamo da un campionato nel quale sono risultate evidenti lacune nella gestione della Scuderia. Preferirei evitare le personalizzazioni, ma di sicuro Vasseur si gioca tutto, sta lì da gennaio 2023, il tempo di costruire ce lo ha avuto”. Qui il tema diventa temporale e politico. Vasseur non è più il nuovo arrivato chiamato a rimettere ordine dopo le difficoltà dell’amministrazione di Mattia Binotto. È un team principal al terzo anno pieno di gestione, con pieni poteri, un’organizzazione ridisegnata e risorse economiche senza alibi.
Eppure, il bilancio resta simile a quello dei suoi predecessori: una Ferrari che promette più di quanto mantenga, che alterna picchi di competitività a lunghi tratti di opacità tecnica, che rincorre anziché dettare l’agenda. In questo senso, il giudizio di Patrese è particolarmente severo ma difficilmente confutabile: “In generale, a me Fred fin qui è parso poco reattivo di fronte alle difficoltà”. La reattività, in Formula 1, non è un concetto astratto. È la capacità di leggere rapidamente un problema, correggere la rotta e imporre una direzione chiara a tutta la struttura.
Ed è proprio qui che il confronto con il passato diventa inevitabile. Patrese lo esplicita senza giri di parole: “Alla Ferrari serve un leader tecnico importante. Uno come Ross Brawn? Sì, un personaggio del genere. Andrea Stella lo è diventato con la McLaren”. Il riferimento è pesante, perché chiama in causa una figura che non si limita a coordinare, ma che orienta tecnicamente e culturalmente un team. Brawn lo fece alla Ferrari trasformando una squadra caotica in una macchina da guerra. Stella lo sta facendo alla McLaren, riportandola al vertice attraverso una visione tecnica coerente e una filiera decisionale chiarissima.
Il sottotesto è evidente: Vasseur, per formazione e per stile, non è mai stato quel tipo di leader. È un gestore, un facilitatore, un uomo di relazioni. Qualità importanti, ma insufficienti in un contesto come Maranello, dove la mancanza storica non è l’armonia interna bensì la guida tecnica forte e riconoscibile. E senza quel timoniere, la rivoluzione del 2026 rischia di trasformarsi nell’ennesimo reset narrativo più che in una reale opportunità competitiva.
Non a caso Patrese chiude con una nota di pessimismo che pesa parecchio: “Onestamente fatico a essere ottimista per il 2026 del Cavallino”. Il 2026 non è solo un cambio regolamentare. È il punto di non ritorno per la gestione Vasseur. Se la Ferrari sbaglierà quella transizione, difficilmente si potrà parlare ancora di tempo, pazienza o costruzione. Tutti gli argomenti sono già stati spesi.
In definitiva, il focus di Patrese mette a nudo una verità scomoda: Fred Vasseur rischia di essere ricordato non come l’uomo della rinascita, ma come l’ennesimo team principal che ha attraversato Maranello senza lasciare un segno realmente distintivo. E in Ferrari, più che altrove, l’assenza di un’impronta è già una colpa.
Crediti foto: F1, Scuderia Ferrari HP
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