Che il 2023, per la Ferrari, sia stato un anno di transizione, è un fatto noto e ormai archiviato. Le difficoltà incontrate dalla SF-23 si sono riverberate sulle prestazioni dei piloti e su una classifica che alla fine è risultata modesta soprattutto contemplando che, nel mondiale precedente, il team aveva deciso di congelare sviluppi e velleità di vittoria per fare all-in su un campionato che poi si è rivelato da una singola, quasi casuale, vittoria.
Ma questa è storia, il presente si chiama SF-24 e sembra poter essere il preludio a giorni più gravidi di soddisfazioni. Frédéric Vasseur, da un anno e qualche mese alla guida della Gestione Sportiva, è il protagonista di una rivoluzione operativa i cui effetti si iniziano a vedere in maniera addirittura dirompente.
Due vittorie, una presenza sul podio praticamente fissa (la SF-24 l’ha mancato solo in Cina) e soprattutto una crescita che sembra essere continua e costante. Se questo basterà per sognare in grande è ancora presto per affermarlo, ma il cammino è chiaro, leggibile, tracciato. Il grande architetto è l’uomo venuto dalla Francia che intende rinverdire i fasti di un’epoca mitica in cui fu un altro transalpino a dirigere l’ensemble di Maranello portando titoli, onori e gloria: Jean Todt.
Eredità pesantissima quella dell’ex Sauber che, all’avvio del cammino, si era scontrato con difficoltà forse inattese. Normale scotto da pagare quando si mette mano a una rimodulazione che ha investito praticamente tutti i settori della Gestione Sportiva.

Ferrari, la cura Vasseur: il team working come soluzione ai problemi
Vasseur, nel primo anno e mezzo di lavoro per la Ferrari ha mostrato un approccio condiviso e non dispotico. È lui che impone le scelte (emblematico è il passaggio di consegne tra Xavi Marcos e Bryan Bozzi) ma arriva a prenderle attraverso un processo corale, stabilito in armonia con i suoi collaboratori e in una struttura che non è piramidale, quindi verticale, bensì orizzontale.
Non quel modello postulato da Sergio Marchionne, ma qualcosa che gli somiglia e che sembra essere più distante dal decisionismo forse troppo spinto di Mattia Binotto che sta uscendo ridimensionato nel confronto con Vasseur.
La politica adoperata dall’ingegnere di Losanna non è detto fosse sbagliata. Si trattava di un modello di amministrazione aziendale che presenta altri punti di forza e normali tratti più deficitari. Ma forse non era ciò che serviva alla GeS.
Vasseur, nella sua riorganizzazione, non cerca singoli battitori, ma professionisti che sappiano far gruppo e dall’insieme ricavare il meglio. Questo non significa che non punti anche ad ingaggiare i “top player” da allocare nei vari reparti, anzi.
Ma questi non debbono comportarsi da superstar catalizzando su sé attenzioni e risorse. In questo contesto va incastrata l’acquisizione di Lewis Hamilton che è una possibilità per crescere, non il punto di arrivo di un team che non si deve ritenere guarito del tutto.
Durante l’estate scorsa Vasseur rispondeva così a chi gli chiedeva di eventuali ingaggi roboanti. Parole che ora hanno una lettura diversa: “Mi fanno molto spesso la domanda su Max [Verstappen], Lewis [Hamilton] e sui migliori ingegneri. Di sicuro li vorrei ma servono solo se prima capisci dove sei debole e come cercare di migliorare”. Creare il substrato fertile per inserire gli innesti pesanti. Questo è il manifesto del Vasseur-pensiero.
L’ex Sauber crede quindi nella struttura e non nel singolo. Nella forza delle interazioni e non nelle capacità di determinare di un solo uomo – che pure servono – ma non contribuiscono a mettere in piedi un modello efficace, duraturo e ripetibile.
Gli acquisti di Loic Serra e di Jerome d’Ambrosio vanno letti in questa direzione. Dopo anni di cambi gestionali, talvolta non mossi da una logica chiara, si è smesso di ghigliottinare impunemente per costruire con calma e senza lasciarsi trasportare dall’umoralità.

Ferrari potrebbe fare a meno di Newey
Vasseur ha spiegato che per edificare una buona struttura bisogna sicuramente rinforzare la squadra. Cosa a cui, in silenzio e senza proclami, si sta ancora lavorando. Anche nell’era dei fasti di Michael Schumacher, la Ferrari ha dimostrato che un solo super-fenomeno non bastava per primeggiare e per aprire un ciclo epico. In quella stagione forse irripetibile furono ingaggiate molte eccellenze che vennero allocate nei ruoli chiave.
Lo stesso bisogna adesso fare mutuando – ma aggiornando – quel paradigma ai tempi cambiati: è necessario avere figure di rilievo nel comparto tecnico, nella ricerca e nello sviluppo e in quello finanziario. Ma anche nelle cose che riguardano direttamente l’attività in pista, dalla logistica alle strategie passando per il driving che va affidato a piloti di sicuro talento. E con Leclerc e Hamilton Ferrari ha messo su una line-up spaventosa.
Ripercorrendo il primo anno di lavoro dell’ex Sauber è possibile riscontrare che sono stati puntellati molti settori: aerodinamico, telaistico e quello delle simulazioni. Altre figure meno note, ma non per questo meno importanti, sono state reclutate da team di calibro assoluto come la Red Bull. E chissà che ciò non possa essere da preludio a qualcosa di più grosso e forse un po’ troppo chiacchierato in questi giorni.

La vittoria è una miscela equilibrata, un fluido quasi magico in cui gli ingredienti vanno ben dosati. Vasseur gioca il ruolo del chimico chiamato a trasformare metalli meno nobili in oro puro. In base a questo ragionamento ci si domanda se il paventato innesto di Adrian Newey sia davvero necessario.
Non si fraintenda: un ingegnere come l’inglese è un dono prezioso, ma nessuno deve lasciarsi trasportare dall’isteria se l’accordo, da più parti dato per fatto, dovesse per qualche motivo non realizzarsi.
La Ferrari di Vasseur sta dimostrando di poter scalare la montagna col suo passo. La vittoria è un traguardo raggiungibile tramite diversi sentieri, Newey non deve essere considerato l’unico.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP