C’è un paradosso che aleggia sui capannoni di Maranello e si chiama continuità nell’errore. Fred Vasseur era stato presentato come l’uomo della rivoluzione, il manager capace di spezzare la catena di scelte discutibili che hanno relegato la Ferrari al ruolo di comprimaria. Doveva portare metodo, pragmatismo, risultati. E invece, a quasi tre anni dal suo arrivo, la realtà è amara: l’ex Sauber non sta facendo nulla di realmente diverso rispetto a Mattia Binotto che, almeno, in certa misura, aveva il coraggio di sporcarsi le mani in prima persona con il progetto tecnico.
L’ingegnere di Losanna fu fatto fuori come capro espiatorio di una gestione che non portava mondiali, accusato di aver perso tempo prezioso inseguendo sviluppi inefficaci per puntare alla “nuova F1”. Eppure, il “nuovo corso” targato Vasseur sembra identico nella sostanza: la Ferrari continua a puntare tutte le sue fiches sul nuovo regolamento del 2026, un all-in rischioso che profuma più di disperazione che di visione. È la stessa scommessa di Binotto, quella che ha già bruciato stagioni intere, con il risultato di lasciare i tifosi in balia dell’ennesima promessa di gloria rimandata.

Se il Cavallino Rampante sbaglierà l’appuntamento del 2026, il prezzo sarà altissimo: anni gettati alle ortiche, un vuoto tecnico e sportivo che amplificherà solo la rabbia e la frustrazione di una tifoseria che non ne può più di aspettare. Gli appassionati del rosso, va detto, non sono ciechi: riconoscono i limiti della macchina, tollerano gli incidenti di percorso, ma non perdonano la mancanza di ambizione. E oggi, l’impressione è che la Ferrari stia semplicemente galleggiando, rinviando a un futuro incerto il proprio riscatto.
Ferrari, dov’è il presidente?
In questo scenario pesa come un macigno l’atteggiamento di John Elkann. Un presidente freddo, distante, ragioniere, che non trasmette né passione né senso di urgenza. La sua Ferrari sembra un asset tra i tanti, un marchio da gestire più che un simbolo da rilanciare. E senza una leadership appassionata, capace di imporre visione e ambizione, nessun Vasseur potrà mai davvero cambiare il destino del Cavallino.

Il rischio, dunque, è che si ripeta sempre la stessa storia: proclami di rinnovamento, un nuovo “uomo forte” a capo del progetto, investimenti proiettati su un regolamento futuro… e infine la solita delusione. Un circolo vizioso da cui non si esce più. Binotto ha pagato con il licenziamento (tale fu, non chiamatela rescissione consensuale), Vasseur resta al suo posto forte di un rinnovo forse figlio della mancanza di alternative valide.
Ma se davvero non c’è differenza nei fatti, allora il problema non è il team principal: è la Ferrari stessa, che continua a scegliere la strada più comoda e meno coraggiosa. Forse servirebbe una rivoluzione procedurale totale, come quella fatta negli Anni ‘90. Ma chi mette le firme e paga gli stipendi sembra più interessato alle trimestrali di cassa che al successo sportivo…
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
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