Le parole di Charles Leclerc dopo il GP del Qatar sono un manifesto, lo specchio della stagione fallimentare della Ferrari, ma anche la rappresentazione più fedele di un pilota che ha perso quell’entusiasmo primordiale. Una sentenza amara e scarna, più vicina al distacco emotivo che all’analisi tecnica. “Non ci sono stati molti momenti importanti a parte l’incidente davanti a me e la gomma a terra di Isack [Hadjar]. Ma non è quello su cui punto per ottenere buoni risultati. Un weekend pessimo. La prestazione non è mai stata all’altezza, non c’è stato un solo giro buono. Non eravamo da nessuna parte in qualifica e questo ha condizionato l’intero fine settimana“.
È l’ammissione di un pilota che ha visto la sua gara – e, più in generale, la sua stagione – scivolare via in un grigiore senza spunti, senza lotta, senza respiro competitivo. Ma c’è un particolare che pesa ancora di più delle sue parole: Leclerc ha avuto tempo di osservare dagli schermi a bordo pista la battaglia iridata tra Norris, Verstappen e Piastri. E lo ha fatto non da protagonista. Da spettatore. E non pagante.
“Il fine settimana per me è stato molto noioso, ma ho potuto seguire un po’ dai maxischermi cosa succedeva e facevo dei calcoli nella mia mente. Penso possa accadere di tutto quando ci sono così pochi punti tra l’uno e l’altro. Probabilmente se la giocheranno Lando e Max, ma la tensione sarà alle stelle e gli incidenti potrebbero giocare un ruolo fondamentale“.

È qui che la retorica dell’ennesima occasione persa lascia il posto a qualcosa di più profondo: una punta di malinconia, quasi dolorosa. “Vorrei essere coinvolto in questo tipo di lotta, voglio vincere. Voglio lottare al vertice ed è bello vedere queste battaglie, ma sarebbe meraviglioso se potessi farne parte…“.
Queste parole non sono solo uno sfogo; sono un atto d’accusa per chi non vuole fermarsi alla narrazione mielosa del “volemose bene”. Accuse – lo diciamo noi – contro una Ferrari che, ancora una volta, ha mancato ogni obiettivo dichiarato. Contro una dirigenza che ha promesso un progetto di rinascita e ha consegnato invece una stagione da quarto posto, staccata anni luce dai top team. Contro una macchina che ha trascinato uno dei talenti più puri della sua generazione in un limbo di rassegnazione.
Il Cavallino Rampante chiuderà il Mondiale in una quarta posizione che giudicare “deludente” sarebbe un eufemismo. È una disfatta tecnica, sportiva e culturale. Una scuderia dal blasone italiano, dalla storia gloriosa, dalla potenza industriale invidiabile non può permettersi di essere relegata al ruolo di comparsa mentre gli altri si giocano il titolo a colpi di coraggio, innovazione e velocità.
E intanto Leclerc appassisce. Non nella guida – perché il talento resta intatto, cristallino – ma nell’espressione, nel tono di voce, nella fiamma agonistica. La sua abulicità non è un difetto caratteriale: è un sintomo. Il segnale di un ambiente che consuma energie invece di generarle, che smorza ambizioni invece di moltiplicarle.

Il Qatar ha offerto la fotografia definitiva della crisi: la Ferrari è lontana, irrilevante, incapace di incidere, inabile alla reazione. E il suo pilota di punta si ritrova a fare i conti con un paradosso atroce: guardare gli altri battagliare per ciò che lui desidera più di ogni altra cosa. E lo fa dal retro della scena, tra noia, rassegnazione e un desiderio inesauribile di essere là davanti.
È questo, forse, il vero scandalo sportivo del 2025: una Rossa ridotta a comprimaria e un Leclerc costretto a diventare metafora vivente della decadenza del Cavallino. Un fallimento che nessuna conferenza stampa potrà mascherare e che, per un marchio di tale prestigio, resta semplicemente inaccettabile.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
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