Nei giorni scorsi è stato pubblicato un focus sulle colonne di Formulacritica in cui si cercava di argomentare, senza pretese d’oggettività, che chi sfrutta la zona grigia di un testo normativo non commette un illecito, svolge semplicemente in maniera migliore il lavoro interpretando in maniera brillante una parte del regolamento mal normata o delineata senza troppa precisione. Chi mastica un po’ il diritto è conscio del funzionamento di tale dinamica ed evita di prodursi in certe intemerate che hanno invece caratterizzato i commenti all’articolo in questione che potete recuperare qui.
Fatta questa premessa, andiamo al punto del ragionamento. La Ferrari, che nel suddetto approfondimento era ritenuta essere un po’ troppo morbida nella lettura delle disposizioni giuridiche, fa sapere che la zona grigia, quel contesto nebbioso nel quale si muovono ingegneri ed esperti di diritto tecnico-sportivo, è un’opportunità e non un problema. Lo ha sottolineato direttamente Loic Serra, colui il quale sovrintende al Progetto 678, il mezzo chiamato a riscattare Maranello dopo anni di vacche magre.

Ferrari: le zone grigie sono un’opportunità da cogliere
La verità è che, nel lessico della Formula 1 moderna, l’espressione “zone grigie” è diventata quasi abusata. Spesso evocata come sinonimo di furbizia regolamentare o di interpretazioni al limite, in realtà descrive qualcosa di molto più strutturale: il terreno naturale in cui si muove l’ingegneria di vertice. È un concetto che Loïc Serra, direttore tecnico del team italiano, ha affrontato in un’intervista ripresa da Motorsport.com, offrendo una chiave di lettura che riguarda da vicino anche la Ferrari.
“Penso che quelle che chiamiamo ‘zone grigie’ non siano altro che la creatività umana, il pensare a cose a cui nessuno aveva mai pensato prima”, ha spiegato il francese. Una frase che sposta radicalmente il punto di osservazione: non si tratta di cercare falle nel sistema, ma di esplorare fino in fondo ciò che il regolamento consente, spesso in modi non immediatamente evidenti nemmeno a chi quelle regole le ha scritte.

La Formula 1, del resto, non è mai stata un ambiente binario, fatto di soluzioni giuste e sbagliate. È sempre stata un ecosistema interpretativo, in cui la convergenza tecnica arriva solo dopo anni di esplorazione, tentativi ed errori. Serra lo sottolinea chiaramente quando ridimensiona l’idea che un nuovo ciclo regolamentare, da solo, possa azzerare questo meccanismo. “Non credo che una nuova normativa, un anno o quattro dopo la sua introduzione, cambi qualcosa nel quadro generale. Non cambia il quadro generale. Cambia l’ambito dell’esplorazione, perché all’inizio di una nuova normativa, tutto è ancora immaturo”.
È un passaggio chiave. L’illusione che spesso accompagna i grandi cambi regolamentari è quella di un reset totale, di un campo di gioco improvvisamente livellato. In realtà, ciò che cambia è soltanto la mappa: non scompaiono le aree grigie, si spostano. E nelle prime stagioni di un nuovo regolamento, quando i concetti non sono ancora convergenti, quelle zone diventano persino più ampie e fertili. “È più probabile che vedremo grandi differenze perché i concetti non sono ancora convergenti”, osserva l’ex Mercedes.
Il riferimento al presente è tutt’altro che teorico. “Guardate quest’anno. Guardate il 2025: avete visto zone grigie. Molte. Da esplorare. La gente sta riflettendo. Tutti pensavano: ‘Non c’è margine di errore’. In realtà, che i regolamenti della Formula 1 siano stabili o meno, la creatività umana non conosce limiti”. È una constatazione che fotografa perfettamente la categoria attuale, dove anche in un contesto regolamentare maturo emergono continuamente soluzioni inattese, interpretazioni laterali, micro-innovazioni capaci di spostare gli equilibri.
In questo scenario, il tema non è se sfruttare o meno le zone grigie, ma come farlo. I team che dominano o che riescono a mantenersi stabilmente al vertice sono quelli che accettano questa natura fluida del regolamento e costruiscono strutture tecniche capaci di reagire, adattarsi e anticipare. Serra descrive questo processo come qualcosa di quotidiano, quasi inevitabile. “Ogni anno, e non solo ogni anno, ma ogni settimana, vedo persone che hanno nuove idee e penso tra me e me: ‘Oh, guarda, ci avevamo pensato, ci avevamo pensato’. È affascinante, ma poi sai che sta succedendo ovunque”.

Ferrari e l’incapacità di “forzare” il regolamento
È qui che il discorso diventa particolarmente rilevante per la Ferrari. Il gruppo di Maranello, negli ultimi anni, ha spesso cercato la performance attraverso una lettura molto rigorosa e talvolta prudente del regolamento, pagando però un prezzo elevato quando altri team hanno avuto il coraggio – o la lucidità – di spingersi più in là nell’interpretazione. La Formula 1 contemporanea non premia solo la correttezza formale, ma la capacità di muoversi in quel contesto “molle” in cui le regole non sono violazioni, bensì strumenti da plasmare.
Accettare questa realtà non significa rinunciare all’identità o all’etica tecnica, ma comprendere che la competizione di vertice si gioca proprio lì, nel confine tra ciò che è scritto e ciò che è ancora da immaginare. Le parole di Serra indicano una direzione chiara: la creatività non è un’eccezione, deve essere la norma. E ignorarlo equivale ad auto-escludersi dalla lotta per il vertice.
Se la Ferrari vuole davvero tornare a competere ai massimi livelli in modo stabile, dovrà interiorizzare fino in fondo questo principio. Non basta eseguire bene un concetto corretto; serve anche la capacità di esplorare, rischiare e interpretare prima degli altri. In Formula 1, le zone grigie non sono un’anomalia del sistema: sono il sistema stesso. Con buona pace di chi, in questi giorni, si è scagliato contro chi riteneva le zone opache delle opportunità e non delle aree in cui operano i bari.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
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