La domenica nera di Interlagos ha lasciato in eredità più di un doppio zero in classifica: ha scoperchiato una tensione latente che a Maranello nessuno voleva vedere tornare in superficie. Le parole di John Elkann, indirizzate ai reparti meno performanti e soprattutto ai suoi piloti, invitati a “concentrarsi sulla guida e parlare di meno” e esortati e “pensare meno a se stessi”, sono risuonate come un colpo secco – forse esagerato – in un momento in cui la Ferrari aveva bisogno di compattezza, non di frizioni interne portate sulla piazza mediatica. Il messaggio è stato percepito come un brusco raffreddamento, un segnale che lo stato d’animo del vertice non combacia con la narrativa costruttiva che Frédéric Vasseur ha provato a tenere viva per tutta la stagione.

Jacques Villeneuve, mai timido nel leggere tra le righe, ha dichiarato di essere rimasto scioccato dal tempismo e dalla durezza del presidente. E lo ha fatto evocando un archivio storico che Maranello conosce fin troppo bene: quando la frustrazione interna supera la soglia e diventa pubblica, la Ferrari raramente ne esce indenne. L’ex campione del mondo ha citato senza giri di parole le fratture con Alain Prost, Nigel Mansell, Fernando Alonso e Sebastian Vettel, casi in cui l’attrito tra guida tecnica e pressione politica ha finito per disinnescare la continuità del progetto sportivo. È una dinamica nota: la Ferrari viene prima di tutto e quando la macchina istituzionale sente il bisogno di proteggersi, lo fa anche a costo di incrinare l’armonia con i propri piloti.
San Paolo non ha offerto un quadro di inefficienza tecnica, bensì una concatenazione di episodi che hanno reso la gara pressoché incontrollabile. Charles Leclerc è stato vittima collaterale del contatto tra Piastri e Antonelli (il monegasco ha accusato l’italiano, ma la sua uscita fa acqua da tutte le parti), mentre Lewis Hamilton ha riportato danni all’avantreno dopo il tamponamento su Colapinto, episodio che ha distrutto immediatamente la sua strategia.
La SF-25, nel complesso, ha mostrato lacune strutturali di passo, e la doppietta nel WEC conquistata nello stesso fine settimana ha amplificato la sensazione di uno scarto emotivo tra i successi del marchio Ferrari nel mondo Endurance e la difficoltà contingente del programma F1.
È qui che la critica di Villeneuve trova il suo punto di massima risonanza: se la squadra non ha mancato di prestazioni pure, ma ha semplicemente pagato una serie di eventi concatenati, allora il rimprovero pubblico perde di aderenza al quadro tecnico della gara. L’ex campione del mondo sottolinea inoltre un aspetto spesso sottovalutato: un pilota non è un semplice esecutore meccanico, ma un partner strategico, una componente attiva nello sviluppo e nella direzione tecnica della vettura.
Limitare pubblicamente l’espressione di chi guida rischia di ridurre quella capacità di feedback che, soprattutto in una Formula 1 iper-analitica, rappresenta un asset competitivo imprescindibile. La propagazione mediatica di certe frasi, in un contesto in cui ogni dichiarazione diventa virale in pochi minuti, rende il danno potenziale più ampio della sua intenzione originaria.

Ferrari: il problema è la gestione della pressione
Il nodo vero è l’amministrazione della pressione. Ferrari vive ogni stagione sotto un’intensità emotiva che nessun altro team sperimenta: la storia, l’attesa, l’identità nazionale. Le difficoltà nascono da un deficit tecnico che la SF-25 ha mostrato in maniera netta nel corso del campionato, ma è anche acuito dal fatto che ogni inciampo si amplifica in un ambiente che non tollera pause narrative. La stagione 2024 aveva offerto segnali incoraggianti, tanto che il team aveva lottato fino all’ultimo istante per la coppa costruttori. Oggi, con una quarta posizione in classifica, i proclami invernali si sono trasformati in fallimenti e frustrazioni.
E proprio per questo le parole di Elkann non hanno trovato sponda unanime nel paddock. La Ferrari ha bisogno di weekend puliti, non di un nuovo capitolo di tensioni interne. Ha bisogno che Leclerc e Hamilton possano lavorare con serenità su un setup che ha mostrato margini nei circuiti stop-and-go. E Las Vegas lo è. Si sente il bisogno di proteggere la stabilità operativa di un gruppo tecnico che, pur non essendo al livello della McLaren, ha mostrato una crescita graduale e misurata che potrebbe dare i suoi frutti al volgere del nuovo contesto normativo. In questo momento, un ambiente ulteriormente frammentato rischierebbe di compromettere proprio questo lavoro.
La questione, alla fine, riguarda la direzione del progetto. Ferrari deve decidere se vuole interpretare la pressione come acceleratore o come detonatore. Elkann può aver mirato a un effetto galvanizzante, a scuotere reparti e piloti in vista dello sprint conclusivo. Ma storicamente, quando la Ferrari sceglie la via della comunicazione frontale, il contraccolpo non è mai un rischio teorico. È un rischio strutturale.

Le prossime settimane diranno se quel messaggio resterà confinato alla sfera motivazionale o diventerà l’innesco di un clima più teso. Perché il potenziale tecnico per chiudere seconda nel mondiale esiste, così come esiste una vulnerabilità evidente: la capacità della Ferrari di gestire se stessa nei momenti in cui il rumore supera il dato. In un campionato in cui la stabilità fa la differenza, la squadra deve impedire che questa vicenda si trasformi in un’altra riedizione della sua storia più complicata.
La speranza è che finisca qui. Che la Ferrari scelga la via del silenzio operativo, che ritrovi ritmo e ordine, che metta distanza tra la pista e le ombre della comunicazione esterna. Perché il vero nemico, oggi, non è la velocità. È il rumore.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
Seguici e commenta sul nostro canale YouTube: clicca qui





