Uno dei grandi problemi del giornalismo contemporaneo è che alcuni lettori si fermano al titolo pensando di aver capito il senso di uno scritto senza prendersi la briga di approfondire. Noi di Formulacritica speriamo – e sappiamo – che il nostro pubblico, come chi scrive i testi, ama scendere a fondo delle cose senza fermarsi sul pelo dell’acqua. Premessa doverosa fatta in favore di quello sparuto gruppetto di utenti più attratti dal flame da essi stessi prodotto che dalla volontà di capire concetti elementari (non discettiamo di fisica quantistica né di filosofia teoretica), andiamo al cuore del fatto.
Il matrimonio tra Lewis Hamilton e la Ferrari, presentato poco più di un anno fa come l’unione definitiva tra il pilota più vincente di sempre e la squadra più iconica della Formula 1, rischia di trasformarsi in un vincolo scomodo. Non solo dal punto di vista sportivo, ma soprattutto sotto il profilo contrattuale e politico. Perché, al netto delle prestazioni deludenti, la Scuderia si è legata al sette volte iridato più a lungo – e in modo molto più rigido – di quanto si pensasse inizialmente.

Hamilton avrebbe strappato un contratto di ferro alla Ferrari
Secondo quanto affermato dalla tedesca Bild, il contratto dell’ex Mercedes non scade alla fine del 2026, come si era largamente ipotizzato dopo l’annuncio ufficiale di Maranello. Per la precisione, l’accordo sarebbe in vigore fino al termine della stagione 2027, con un’opzione unilaterale a favore del pilota per estendere ulteriormente il rapporto fino al 2028. Un dettaglio tutt’altro che secondario, perché sposta in maniera netta gli equilibri di potere interni alla compagine italiana.
In pratica, la Scuderia rischia di trovarsi ostaggio del sette volte iridato anche nel caso in cui il progetto sportivo non dovesse decollare. Un’eventualità che, alla luce dei numeri, non può essere liquidata come pura fantasia. Il bilancio di Hamilton in rosso, dopo 24 gare, parla di zero podi, un sesto posto finale nel mondiale piloti e una sequenza continua di difficoltà di adattamento alla vettura. Un rendimento lontanissimo dalle aspettative con cui era stato accolto a Maranello e, soprattutto, non allineato all’investimento economico sostenuto.
Hamilton è infatti il secondo driver più pagato della griglia, alle spalle del solo Max Verstappen. Si parla di circa 55 milioni di euro a stagione di stipendio base, che diventano oltre 100 milioni annui considerando diritti d’immagine e attività commerciali più disparate. Un’esposizione finanziaria enorme, che rende il tema contrattuale centrale nel giudizio complessivo sull’operazione.

Ferrari non ha un paracadute
Il punto critico, evidenziato dalla Bild, è che Ferrari non dispone di vere contromisure. L’opzione per il 2028 è nelle mani del pilota, non della squadra. Ciò significa che, anche in presenza di un prolungato – e non auspicato – fallimento sportivo, Maranello avrebbe margini di manovra estremamente ridotti. Una situazione atipica per la cultura Ferrari, storicamente restia a concedere un potere contrattuale così sbilanciato a favore di un singolo pilota.
Il quadro è complesso. Hamilton rappresenta un asset commerciale straordinario, una figura globale in grado di attrarre sponsor, visibilità e nuovi clienti. Ma questo, da solo, non basta a compensare un rendimento in pista inferiore alle attese, soprattutto in un contesto in cui la Ferrari continua a inseguire un titolo mondiale che manca dal 2007.
Non a caso, le parole di John Elkann pronunciate a novembre hanno avuto il sapore di un messaggio tutt’altro che casuale. Il riferimento a piloti che “dovrebbero concentrarsi di più sulla guida e parlare meno” è stato letto come un segnale di insofferenza verso una gestione del ruolo non più allineata alle esigenze sportive del team. Un cambio di tono netto rispetto al clima di protezione totale che Hamilton viveva in Mercedes.
Il paradosso è tutto qui. Ferrari ha voluto Lewis a ogni costo, per ragioni sportive, politiche e d’immagine. Fred Vasseur lo ha scelto come uomo chiave per guidare una trasformazione tecnica e culturale, il presidente e l’AD Benedetto Vigna lo hanno visto come un moltiplicatore globale del brand. Ma proprio quell’accordo, costruito per blindare il sogno, rischia ora di trasformarsi in una gabbia.
Se il rendimento non dovesse migliorare, la Scuderia potrebbe trovarsi nella posizione scomoda di dover convivere a lungo con un pilota strapagato, contrattualmente intoccabile e sempre meno centrale sul piano sportivo. Il matrimonio, fino a questo momento, sembra più vicino a una crisi coniugale che a una favola a lieto fine.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
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