Quando Frédéric Vasseur ha accettato di salire a bordo della Ferrari sapeva di trovarsi di fronte a una realtà unica nel panorama della Formula 1. Non solo per il peso storico e simbolico del Cavallino Rampante, ma anche per la collocazione geografica e culturale della squadra, profondamente diversa rispetto alla maggior parte dei competitor. È lo stesso team principal francese, intervenuto al podcast Beyond The Grid, a sottolineare come l’“isolamento” di Maranello rispetto al cuore pulsante del motorsport mondiale rappresenti un fattore da non trascurare.
“Lavorare per la Ferrari è completamente diverso, per il fatto che con l’ex Minardi siamo un po’ isolati in Italia e gli altri team sono tutti nel Regno Unito”, ha dichiarato l’ex Sauber. “Nel mondo della Formula 1 ci sono sette team in soli 60 chilometri in Gran Bretagna e quindi quando si tratta di reclutare personale è un po’ diverso anche a livello di approccio. Da qui siamo meno coinvolti nello spostamento del personale da team a team. Ma è così e sono felice di essere in Italia”.

Ferrari è lontana dalla Silicon Valley della F1
Le sue parole fotografano con precisione una realtà che si potrebbe definire una “Silicon Valley della Formula 1”: una concentrazione geografica senza pari di know-how, fornitori, ingegneri e tecnici che gravitano in un raggio ristretto tra Silverstone, Brackley, Woking, Milton Keynes, Brixworh, Bedford e via citando. In quell’area le squadre condividono una base industriale comune e possono attingere con estrema rapidità a un mercato del lavoro iper-specializzato, dove lo spostamento da un team all’altro diventa quasi fisiologico.
Per Ferrari la situazione è radicalmente diversa. Lontana dall’Inghilterra, deve costruire internamente il proprio bacino di competenze o ricorrere a processi di reclutamento più complessi e dilatati nel tempo. La logistica non è un dettaglio marginale: per un ingegnere britannico lasciare il Regno Unito e trasferirsi in Emilia-Romagna significa affrontare una decisione di vita ben più impegnativa rispetto a un semplice cambio di casacca tra due team confinanti.
Questo contesto ha conseguenze dirette sulla capacità di Maranello di reagire rapidamente ai mutamenti tecnici del campionato. Mentre in Gran Bretagna il ricambio di figure chiave può avvenire in tempi relativamente brevi, al netto dei gardening, la Ferrari deve pianificare con maggiore anticipo e investire su percorsi più lunghi per integrare nuove competenze.
Un esempio emblematico è quello di Loïc Serra, figura centrale nel nuovo assetto tecnico della squadra. Dopo un lungo percorso in Mercedes, Serra è stato convinto a entrare in Ferrari, ma i tempi sono stati tutt’altro che immediati. “Loïc è entrato otto mesi fa a far parte del team, ma avevamo iniziato a parlare probabilmente due anni fa”, ha spiegato Vasseur. “La prima auto della sua era sarà quella del 2026. Sono serviti tre anni e in F1 non sono sicuro che tanti siano disposti a concedere questo tempo”.
Questa dichiarazione illumina uno degli aspetti più critici della Formula 1 moderna: la distanza temporale tra la decisione strategica e l’effetto tangibile in pista. L’arrivo di un ingegnere di primo piano non coincide con un’immediata trasformazione delle performance. Servono mesi, spesso anni, perché il nuovo approccio si traduca in un progetto concreto di monoposto. In un contesto come quello della Ferrari, isolata dai flussi di competenze britannici, questo lag temporale risulta ancora più evidente.

Ferrari e la necessità di operare sul lungo periodo
La situazione si complica se si considera il ritmo con cui il Circus richiede risultati. In una Formula 1 in cui le regole tecniche si evolvono continuamente e i cicli regolamentari hanno finestre temporali sempre più ristrette (il modello è basato sui piani quinquennali), la pazienza è una risorsa rara anche se necessaria. Vasseur lo sottolinea quando contrappone l’esperienza Ferrari alla gestione di altre scuderie: “Se guardiamo ad alcuni team come Alpine, hanno cambiato il team principal ogni anno nelle ultime otto o nove stagioni”.
Il messaggio è chiaro: mentre alcuni gruppi scelgono di reagire a ogni crisi con un cambio immediato di vertici, Ferrari è costretta – ma anche determinata – a operare con una prospettiva di lungo periodo per costruire qualcosa che possa essere duraturo nel tempo. Un ciclo, non vittorie “spot”. Messaggio di difficile comprensione perché sono troppi anni che il Cavallino Rampante annaspa. Ma la strategia è questa e il rinnovo del contratto di Vasseur deve leggersi in questo senso. L’ingresso di figure come quella di Serra, ancora, fa parte di un piano che guarda già al 2026, anno chiave per la rivoluzione regolamentare che introdurrà nuove power unit e ridefinirà l’aerodinamica delle monoposto.
Questa visione di lungo respiro, come accennato poc’anzi, deve fare i conti con la pressione esterna. Ferrari non è una squadra qualunque: ogni stagione a Maranello viene vissuta come un banco di prova che non ammette giustificazioni legate al contesto geografico, storico o organizzativo. L’isolamento dall’Inghilterra, pur rappresentando una peculiarità strutturale, non riduce le aspettative dei tifosi e della proprietà, che pretendono competitività immediata.
Allo stesso tempo, il radicamento in Italia rappresenta anche un punto di forza identitario. Vasseur non ha mai nascosto il suo entusiasmo nell’essere parte integrante di questa tradizione. La Ferrari non è solo un team di Formula 1: è un simbolo nazionale, una realtà industriale che si intreccia con il tessuto culturale e produttivo dell’Emilia-Romagna. Lontana dalla “Silicon Valley” britannica, Maranello rimane fedele a un modello che fonde tecnologia, competenze e, perché no, passione, con una base di dipendenti che vive l’appartenenza al Cavallino come un elemento distintivo.

Il paradosso della Ferrari
Il “paradosso” Ferrari, quindi, è racchiuso proprio in questo dualismo: da un lato la necessità di competere ad armi pari con strutture agili e immerse in un ecosistema tecnico omogeneo; dall’altro la volontà di preservare una diversità che è anche fonte di forza e identità. In questo equilibrio complesso si gioca la sfida del manager di Draveil, chiamato a trasformare la distanza geografica in una leva per costruire una Ferrari capace di ritrovare stabilità e continuità tecnica.
La strada è segnata da tappe chiare, ma richiede tempo e coerenza: qualità difficili da preservare in un ambiente in cui la pressione del risultato immediato è costante e implacabile. Le parole di Vasseur raccontano un processo in corso, in cui l’isolamento geografico diventa una variabile tanto penalizzante quanto determinante per il futuro di Maranello.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
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