Quelli che ne sanno ci hanno detto che “La vera Ferrari la vedremo in Cina”. Ed effettivamente l’abbiamo vista e ci siamo spaventati. Non solo, una gara ha riassunto tutti i problemi di Ferrari dal 2009 ad oggi.
Quest’azienda non risponde alle normali logiche aziendali, che prevedrebbero l’azzeramento dei vertici operativi, ma anzi non c’è nessuno delle figure apicali che si sia espresso dopo la squalifica.
Fino alla presidenza di Sergio Marchionne, di fronte a errori del genere, commessi non da un unico individuo ma proprio dal collettivo, ci sarebbe stata una chiara posizione del presidente. Noi non sappiamo a cosa stia pensando John Elkann, non sappiamo neanche se sia stato informato di ciò che è successo.
È un concetto che viene ripetuto da diverso tempo, ma il presidente Elkann sembra sempre quello che, dopo il GP di Baku 2019, esultò per il giro veloce in gara, nonostante le sue Ferrari fossero arrivate a 40 secondi di distacco dalle Mercedes. La sua attitudine a presidente ferrarista non si è mai sviluppata ed è rimasta monodimensionale.

È stato emesso un impersonale “team statement” in cui viene assicurato che tutto ciò è stato fatto in buona fede, senza voler avvantaggiarsi. Excusatio non petita, accusatio manifesta, e se a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, viene quasi il sospetto che fossero ben consapevoli di trovarsi sul filo del rasoio per almeno una delle vetture. Se non per entrambe.
Come da qualche anno a questa parte, ci troviamo sempre qui a discutere di promesse invernali che si dissolvono alla prima qualifica del mondiale. Nel tempo sono state attribuite le colpe alle singole persone, usate come capro espiatorio di un sistema che puzza dalla testa. Il trend è iniziato negli ultimi anni di Luca Cordero di Montezemolo. Purtroppo, nonostante sia stato l’unico presidente degno di succedere a Ferrari – dopo una serie di spiacevoli decisioni (una su tutte, togliere i test privati) con l’allontanamento di Dyer e Costa.
Successivamente lo stesso Montezemolo fu silurato da Sergio Marchionne, che disse che “si lavorava alla carlona”, mandando via Allison, Sassi, tutti tecnici che, inseriti in altri contesti, hanno lavorato bene e vinto mondiali. Anche i piloti furono vittime di tutto questo. Non posso dimenticare quello che fecero scrivere di Alonso (perché sì, Ferrari comanda la stampa italiana, almeno la maggior parte), non posso dimenticare Forghieri all’inizio del 2015 vantarsi di aver consigliato lui di prendere Vettel, che Alonso non andava bene perché “non sapeva collaudare”.
Ricordo l’inizio di Vettel in Ferrari con la prima vittoria in Australia, le dichiarazioni di Marchionne – “È più ferrarista Vettel di Alonso” – e la replica dello stesso Alonso: “La Ferrari si porta nel cuore e non sulla bocca”. Ricordo il team radio dello stesso Vettel a Baku 2016, dicendo che davanti si trovava un bus, ed era Alonso con la McLaren Honda; e anche quando, in riferimento al 2014, Sebastian disse che “Finalmente era tornata la bandiera a Maranello”.

Dopo la presunzione dei primi tempi, arrivano i moment duri: la vettura 2016, che doveva essere preparata secondo i dettami di Vettel, vinse zero volte, esattamente come nel 2014. Quindi nessuna bandiera a Maranello quell’anno, spiace. Quello fu il mondiale in cui venne messo alla porta Allison, anche in maniera piuttosto scortese, ma del resto il presidente del tempo non aveva gran classe. Il 2017 e 2018 sono stati una sorta di karma per tutto ciò che venne detto negli anni precedenti. Nel 2015 il manager di Alonso disse: “Penso che nei prossimi vent’anni Fernando sarà ricordato a Maranello più di altri piloti”. E aveva ragione.
Dal 2019 iniziò il capitolo Mattia Binotto, su cui ha pesato sicuramente la PU al limite della legalità che ha condizionato i successivi campionati. Carlos Sainz e il complotto Santander hanno esacerbato gli animi dei temibili “leclerchini”. La mia idea è che Binotto si sia preso a un certo punto la responsabilità di DT e TP perché evidentemente non era presente nel team un’altra figura che fosse in grado di ricoprire ruoli così importanti.
Binotto era allora un impiegato Ferrari, a servizio di una dirigenza che l’ha assecondato, e mi chiedo perché nessuno abbia mai ponderato questa possibilità e ci si sia limitati a considerarlo un despota. È stato detto tutto su di lui, mettendo anche in discussione il suo ruolo in quella squadra che ha vinto tutto insieme a Schumacher.
E arriviamo a oggi, con un nuovo Team Principal, alcuni tecnici sono stati rimossi come Rueda e Cardile, ma la situazione non sembra cambiata. Gli innesti sono stati pochi. C’è chi parla di poco appeal a lavorare in Italia, forse invece è poco affascinante lavorare in quell’ambiente in particolare. Non è che in Mercedes lavorino meno ore rispetto a Maranello, ma se il travaso avviene per lo più tra Ferrari e Mercedes e non viceversa, un motivo più solido ci sarà.
In tutto questo, a rimetterci in termini di reputazione sono coloro che mettono la propria faccia e il loro lavoro a favore di telecamera: i piloti. A mio avviso, specialmente uno, Leclerc. Mi sorprende che Todt jr. lo gestisca così male. Non si può lasciare che il tuo assistito nel post-gara affermi che poteva puntare alla vittoria senza l’ala rotta, assolutamente improbabile. Ah – tra parentesi – se l’ala rotta in quel modo l’avesse avuta Verstappen o Russell, la cosa sarebbe stata lasciata così sotto traccia?

Ritornando al discorso precedente, l’atteggiamento di Leclerc è lesivo per il pilota stesso, che si addossa responsabilità non sue di cui dovrebbe rispondere il team principal. Il quale puntualmente afferma l’esatto contrario di ciò che dice Leclerc, facendolo passare per un pivello. Atteggiamento diverso è quello di Lewis Hamilton che, essendo un uomo navigato, sa bene come svincolarsi. Più passa il tempo, più questo legame a stretto filo con Ferrari inizia a sembrare un cappio al collo per il predestinato. Gli auguro quanto prima di cambiare manager più che squadra.
Nonostante le prestazioni deludenti, parte della narrazione mediatica allude ancora a un possibile riscatto in Giappone. Probabilmente si arriverà a Barcellona per iniziare a puntare tutte le aspettative sul prossimo anno, in cui ci sarà una rivoluzione delle vetture. Il pattern da anni è sempre quello, con declinazioni varie a seconda degli anni.
Come mai però, nonostante figuracce e mondiali da mediani, Ferrari – nella persona del presidente Elkann – non fa nulla per riportare la squadra alla vittoria? La risposta la troviamo nell’unica mossa che probabilmente ha realizzato in prima persona: l’ingaggio di Hamilton. È risaputo che l’interesse di Elkann non sia verso l’auto, ma sia soprattutto verso il valore del marchio in sé e la finanza in generale. Hamilton ha un ritorno d’immagine clamoroso che sicuramente saprà sfruttare. Ma questa rimane una strategia di breve termine, di ritorno economico immediato. Non c’è un progetto sulla squadra, non si coltiva nulla, neanche il prestigio.

È altresì vero che attualmente i conti di Ferrari sono più verdi di Aston Martin e, per ora, non si intravede il tracollo. Il marchio è stato però rilanciato dai mondiali di Schumacher, con la Formula 1 negli anni 2000 si aprirono nuovi mercati anche nei ricchi Paesi arabi, non a caso Abu Dhabi ospita il più grande Ferrari World. McLaren ha una percentuale di investitori arabi, ma non mi risulta che l’impatto sulle vendite sia pari a quello di Ferrari. Se vincere non ha alcun effetto sul prestigio, perché marchi come Aston Martin o Mercedes hanno deciso di rientrare nel Circus?
La triste verità è che in Ferrari si vive di rendita. E ora producono pure i SUV. Se potesse parlare il povero Enzo… Mandagli giù i fulmini!
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
“Il trend è iniziato negli ultimi anni di Montezemolo”. In realtà con l’ultimo Montezemolo è *tornato* un trend che c’era anche prima (vogliamo ricordare la Ferrari del periodo 1990-1993?). L’anomalia vera, secondo me, è stata la parentesi 1993-2004 dove i mondiali sono arrivati (i titoli arrivati successivamente non li conto perché li considero arrivati per “inerzia” dai fasti precedenti). Anomalia che si è aperta con l’arrivo di Jean Todt ed è proseguita con Schumacher e i principali esponenti tecnici (Ross Brawn, Rory Byrne) della Benetton bi-campione ’94 e ’95. Il loro carisma e la loro autorevolezza erano tali da superare, e quindi nascondere, le italianissime dinamiche aziendali che in Ferrari trovano una espressione estrema. E’ stato grazie a loro che si è aperta la parentesi vincente che tutti ricordiamo, al punto di illuderci che fosse quella la versione “rappresentativa” della Ferrari. Poi, con la progressiva emarginazione di Todt, la Scuderia ha via via perso gli uomini che l’avevano resa grande: Brawn, Schumacher, e alla fine lo stesso Todt. Ed è tornata la Ferrari con cui ci troviamo a “combattere” ancora oggi, quella delle belle parole a cui non fanno quasi mai seguito fatti all’altezza dei proclami. Ci sarebbe stata, lo scorso anno, l’opportunità di riaprire una ripartenza simile a quella del 1993, con l’ingaggio di Adrian Newey, ma proprio ciò che negli anni 90 mise Todt nella condizione di rendere la Ferrari vincente, ovvero la carta bianca, è stato negato a Newey, il quale quindi ha migrato verso altri lidi. I risultati mi sembrano palesi.
John Elkann presidente è un insulto al marchio Ferrari. Per non parlare di Vigna, che spara cavolate a capocchia.
Prima ancora che parlare di Newey, viene prima il collettivo dei singoli: un tecnico (anche un genio, come nel caso di Adrian) ha bisogno di una struttura che funzioni.
Purtroppo Vasseur ha già fatto miracoli negli ultimi due anni, rimettendo ordine in un team in cui regnava confusione: ora, la SF-25 è problematica, ma ora tocca ai tecnici trovare la chiave come fecero in parte con la SF-23 e come fecero lo scorso anno dopo l’estate.
Ci sono un po’ di errori nell’articolo
“presidente Elkann sembra sempre quello che, dopo il GP di Baku 2018, esultò per il giro veloce in gara” era il 2019 non 2018 (nel 2018 il presidente era ancora Marchionne)
“Ricordo il team radio dello stesso Vettel a Baku 2015” la prima gara a Baku fu nel 2016
Quando si fa una narrazione così ficcante e pungente (che pure in parte condivido) bisognerebbe assicurarsi di non commettere scivoloni marchiani di questo tipo che ne diminuiscono l’autorevolezza.