Maurizio Arrivabene, ex team principal della Ferrari, da un bel po’ di tempo non prendeva la parola esprimendosi sul rosso. L’intervista rilasciata a Tuttosport negli scorsi giorni ha riaperto un dibattito che va oltre il recinto sportivo della Formula 1, toccando le corde profonde della tradizione industriale italiana e del suo rapporto con un mondo – quello delle corse – che vive di innovazione continua, di ricerca applicata e di saperi stratificati.
“Siamo un po’ in ritardo sui compositi e sull’aerodinamica perché i motori continuiamo a farli meglio di tutti. Gli inglesi nella zona di Oxford hanno sviluppato quel tipo di tecnologia e sono avanti. Per recuperare questo gap fatto di tradizione, ma anche di competenze e Università che sono molto vicine alla produzione, dobbiamo lavorare parecchio. Noi però stiamo arrivando. Ci vuole pazienza, ma la Ferrari è sulla strada giusta. In Inghilterra ci lavorano 30mila persone, non è solo vincere le corse, è progredire a livello industriale”, ha dichiarato Arrivabene.
Un’analisi che mette in evidenza un aspetto troppo spesso sottovalutato quando si parla di Ferrari e Formula 1: non basta progettare una vettura competitiva, serve un intero ecosistema industriale a sostegno della ricerca e sviluppo.

La “Oxford Valley” della Formula 1 e il ritardo italiano
Il riferimento alla zona di Oxford non è casuale. In quell’area dell’Inghilterra centrale si è consolidato negli ultimi trent’anni un vero e proprio distretto tecnologico della Formula 1. Team, fornitori, laboratori universitari e aziende specializzate convivono in un raggio di poche decine di chilometri, creando un effetto sinergico che consente tempi di risposta rapidi, condivisione di competenze e accesso a professionalità di altissimo livello. Una vera e propria Silicon Valley del motore.
La Ferrari, per tradizione e per scelta identitaria, ha sempre mantenuto il suo cuore pulsante a Maranello. Una scelta che rafforza il legame con la propria storia, ma che espone a un divario logistico e tecnologico. Mentre in Inghilterra il tecnico può passare dalla galleria del vento a un’azienda che produce compositi avanzati in pochi minuti di auto – a volte addirittura a piedi – in Italia questo modello è frammentato e meno radicato.
Arrivabene lo dice senza giri di parole: i motori restano un’eccellenza cisalpina, ma su aerodinamica e materiali compositi il ritardo è evidente. Ed è proprio lì che oggi si gioca gran parte della competizione in F1, dove l’efficienza aerodinamica e la leggerezza strutturale determinano decimi preziosi.
Il valore della pazienza e il cammino della Ferrari
“Ci vuole pazienza, ma la Ferrari è sulla strada giusta”, insiste l’ex team principal. È un concetto che stride con le pressioni tipiche del mondo Ferrari, dove ogni stagione senza titolo pesa come un macigno. Eppure, la pazienza evocata dall’ex dirigente della Marlboro, sponsor che ha segnato la stagione dei successi più clamorosi di Maranello, non è sinonimo di inerzia, bensì di pianificazione a lungo termine: serve investire nelle strutture, formare ingegneri e tecnici, creare partnership con le università, avvicinare la ricerca alla produzione.
In fondo, Arrivabene mette in guardia contro l’illusione della “soluzione immediata”: in Formula 1 non esistono scorciatoie strutturali. Si possono azzeccare singole scelte progettuali o intuizioni regolamentari, ma il successo duraturo si costruisce con una base industriale solida.

Frédéric Vasseur e la sfida culturale
Un altro passaggio interessante dell’intervista riguarda l’attuale team principal, Frédéric Vasseur. “Una supercar è fatta di 5mila componenti e hai quattro anni per metterla a punto. In una F1 ne hai 50mila e hai sei mesi. Se commetti un errore te lo porti dietro per tutta la stagione ed è molto difficile correggerlo. Vasseur è una persona seria e ne capisce. Io avevo la vita facile perché parlavo italiano e riuscivo a cogliere tutte le sfumature, tutte le parole e le idee di chiunque”, ha ricordato Arrivabene.
Le sue esternazioni delineano bene il quadro: il manager di Draveil parte in salita, non solo perché eredita una Ferrari in cerca di riscatto, ma anche per una questione culturale e linguistica. Dirigere un team come quello del Cavallino Rampante richiede una sensibilità particolare nel cogliere non solo i dati tecnici, ma anche le sfumature del linguaggio e della mentalità italiana. Arrivabene lo riconosce apertamente: essere italiano lo ha aiutato a interpretare dinamiche sottili che vanno oltre i numeri.
Al tempo stesso, però, l’ex team principal ribadisce la fiducia nelle qualità di Vasseur, riconoscendone la serietà e la competenza. Una legittimazione importante, perché arriva da chi ha vissuto dall’interno le tensioni e le difficoltà di gestire la pressione dell’ambiente Ferrari.
Gli errori che segnano una stagione
Il monito più forte, tuttavia, riguarda il concetto di errore in Formula 1. Arrivabene lo spiega con un paragone semplice ma efficace: su una supercar stradale, come osservato in precedenza, hai anni per correggere difetti di progettazione, in F1 solo pochi mesi. Se la direzione imboccata è sbagliata, non esiste margine per rimediare davvero.
La stagione della SF-25 sembra confermare questa logica: un errore progettuale (probabilmente sulla sospensione posteriore) ha condizionato la competitività complessiva della monoposto, e rimediare in corso d’opera è diventato quasi impossibile.
Un caso che richiama alla memoria lo stesso Arrivabene, quando nel 2016 la Ferrari soffrì per i problemi strutturali della SF16-H. La scatola del cambio, troppo soggetta a flessione, provocava rotture impreviste e costringeva a compromessi di assetto che riducevano la competitività. Anche allora, come oggi, l’errore si rivelò fatale per l’intera stagione.

Il messaggio di Arrivabene è chiaro: la Ferrari deve fare un salto di qualità non solo nella gestione sportiva, ma nella sua infrastruttura industriale. Significa abbandonare l’idea che il genio isolato possa risolvere tutto e abbracciare un approccio sistemico, in cui università, industria e racing lavorino a stretto contatto.
La Formula 1 moderna è la massima espressione di una filiera tecnologica. E l’Italia, se vuole riportare la Ferrari in cima con continuità, deve accettare questa sfida. Il DNA motoristico non basta più: servono materiali, aerodinamica, ricerca avanzata.
In questo senso, il richiamo alla pazienza non è un invito a rassegnarsi, ma un avvertimento a non cedere all’impazienza dei risultati immediati. Per tornare a vincere stabilmente, la Ferrari deve costruire un ecosistema all’altezza della “Oxford Valley” inglese.
Le parole di Maurizio Arrivabene ci restituiscono l’immagine di una Ferrari che vive una transizione delicata. Forte di un’eccellenza motoristica riconosciuta a livello mondiale, ma costretta a inseguire nel campo dei compositi e dell’aerodinamica.
La fiducia in Vasseur, pur con i limiti culturali iniziali, è un segnale di continuità. Ma più di tutto, emerge la consapevolezza che il successo non dipenderà soltanto dalle scelte di un singolo team principal, bensì dalla capacità di colmare un gap industriale e tecnologico che affonda le radici nella struttura stessa del motorsport moderno.
Ferrari non è soltanto una squadra di Formula 1. È un simbolo industriale, come ha avuto modo di spiegare Luca Cordero di Montezemolo in esclusiva ai nostri microfoni (leggi qui). E sarà la sua capacità di evolvere, come sistema Paese e non solo come team, a decidere se e quando tornerà a dettare legge nel Mondiale.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
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