Bernie Ecclestone non ha mai avuto paura di dire ciò che pensa. A quasi 95 anni (li compirà a fine ottobre, ndr), l’ex patron della Formula 1 continua a osservare il Circus con taglio critico e con lo stesso piglio diretto – e talvolta sarcastico – che lo ha sempre contraddistinto. Questa volta il suo sguardo si posa sulla Ferrari, non una novità, e le considerazioni che emergono delineano un quadro non proprio rassicurante per il Cavallino Rampante.
Intervistato da F1destinations.com, Ecclestone ha analizzato il momento difficile della Scuderia di Maranello, sottolineando come, più che un problema di competenze tecniche, il vero nodo stia nell’assenza di una leadership capace di dare un’impronta chiara e unitaria. Un giudizio che, tra le righe, si traduce in una bocciatura indiretta nei confronti di Frédéric Vasseur, il team principal francese che dal 2023 guida la Ferrari e che da poco ha ricevuto il rinnovo pluriennale da Benedetto Vigna e John Elkann. Che pure hanno le loro fette di responsabilità.

Un paragone ingombrante: la Ferrari dell’era Jean Todt
Ecclestone ha evocato il paragone con l’epoca d’oro del Cavallino Rampante, quando Jean Todt prese le redini della squadra a metà anni ’90 e riuscì a trasformarla da una scuderia in crisi in una corazzata imbattibile. Non fu un processo immediato: il francese impiegò anni a ricostruire un’organizzazione che all’epoca viveva di divisioni interne, pressioni politiche e risultati pessimi.
Il punto di svolta arrivò con il reclutamento di Michael Schumacher, portato via alla Benetton campione del mondo. Ma insieme al fuoriclasse tedesco approdarono a Maranello due figure chiave: Ross Brawn, stratega e direttore tecnico, e Rory Byrne, geniale progettista. Ma non furono le sole perché altri tecnici interni alzarono il livello e crearono un nucleo forte, compatto e orientato a un unico obiettivo: vincere.
Il risultato fu il ciclo più dominante della storia della Ferrari, con cinque titoli piloti consecutivi (2000-2004) e sei mondiali costruttori. Todt non era soltanto un dirigente, ma un leader capace di gestire pressioni politiche, i media italiani (mai teneri) e le sempre presenti tensioni interne, proteggendo il team e permettendo ai tecnici di lavorare senza interferenze. Il francese seppe tenere il timone saldo anche nei primi anni di gestione tenendo testa a personaggi ingombranti come Luca Cordero Di Montezemolo e Gianni Agnelli che, per il bene della Rossa, seppero stare un passo indietro tenendo la forca ben custodita nel fienile.

Ferrari: il contesto odierno
A distanza di vent’anni, la Ferrari si trova in un contesto ben diverso. Non mancano le risorse economiche, le strutture o le capacità tecniche, ma secondo Ecclestone è assente proprio quel tipo di guida che seppe incarnare Todt. “Non ho nulla da rimproverare agli uomini che lavorano oggi in Ferrari – ha dichiarato senza troppi fronzoli – ma serve qualcuno che prenda davvero in mano la situazione, dia la giusta direzione e porti a termine il lavoro”.
Parole che sembrano rivolte a Vasseur, pur senza nominarlo. Da quando è arrivato a Maranello, il manager di Draveil ha lavorato per restituire serenità al team dopo l’era di Mattia Binotto, caratterizzata da tensioni interne, risultati altalenanti e delusioni cocenti dopo aver dato la sensazione, all’avvio del mondiale 2022, che il percorso verso la vetta fosse stato finalmente compiuto.
Vasseur ha operato bene su alcuni fronti: i rapporti con Charles Leclerc e Lewis Hamilton sono ottimi, così come lo erano quelli con Carlos Sainz. La gestione delle risorse appare meno caotica e qualche progresso in termini di performance è arrivato, soprattutto l’anno scorso. Ma, agli occhi di Ecclestone, tutto ciò non basta, specie dopo l’involuzione della SF-25: alla Ferrari manca un uomo forte in grado di accentrare potere e responsabilità, farsi garante di un progetto a lungo termine e imporre una linea chiara.
La critica è sottile: Vasseur viene percepito più come un coordinatore, un mediatore, piuttosto che come il leader assoluto che la Ferrari avrebbe bisogno di avere per tornare a vincere. In un contesto come quello attuale, dominato dalla McLaren dove le strutture sono solide e le figure di riferimento forti, un approccio “leggero” rischia di non bastare.

L’incognita Hamilton
Nelle riflessioni di Ecclestone non poteva mancare un passaggio sulle performance di Lewis Hamilton. Il sette volte campione ha rappresentato un colpo di mercato che ha suscitato entusiasmo e alimentato speranze tra i tifosi. Che per ora non sono state mantenute. “Non so se sia stata la decisione giusta“, ha commentato lo scafato manager. “Lewis è straordinario, ma è anche molto politico. È un aspetto che lo caratterizza e che riflette anche la natura della Ferrari”.
Il riferimento alla dimensione “politica” non è casuale. Hamilton, nell’arco di tutta la sua carriera, ha saputo usare il suo carisma e il suo peso mediatico per influenzare le dinamiche interne e proteggere la propria posizione. Una qualità che può diventare un’arma preziosa, ma che al tempo stesso richiede una gestione ferrea da parte della squadra. Senza una guida forte, come quella che Todt esercitava con Schumacher, il rischio è che la Ferrari finisca per subire la personalità ingombrante del campione britannico, invece di sfruttarla a proprio vantaggio.
Per Ecclestone, dunque, il successo dell’operazione Hamilton non dipenderà soltanto dalla velocità della monoposto, ma dalla capacità di Vasseur – o di chiunque altro guiderà il team – di incanalare quell’energia verso un progetto comune. Per ora il giudizio è sospeso, anche perché Lewis deve prima ritrovare se stesso dopo 14 gran premi molto difficili e nei quali è uscito sconfitto nettamente nel duello interno.

Ferrari tra passato e presente
Il confronto tra le due epoche è impietoso. All’inizio degli anni 2000 la Ferrari era un’organizzazione monolitica, con un gruppo ristretto di uomini forti che lavoravano in perfetta sinergia. Oggi, al contrario, la Scuderia sembra vivere di continui assestamenti, tra cambi di personale tecnico, progetti di auto non sempre all’altezza delle aspettative e una costante pressione mediatica che non trova un argine interno.
Ecclestone fotografa una realtà in cui il problema non è tanto la velocità sul giro secco o sul passo (problema che pure c’è), quanto la mancanza – per il momento – di un progetto strutturato che resista alla prova del tempo. Senza una leadership forte, avverte il vegliardo britannico , la Ferrari rischia di rimanere intrappolata in un ciclo di entusiasmi effimeri e delusioni ricorrenti. Un destino che i tifosi conoscono fin troppo bene.
Le parole dell’ex patron della Formula 1 assumono un significato particolare non solo per la loro durezza, ma perché mettono a nudo la vera fragilità del Cavallino Rampante: l’assenza di un “Todt 2.0”. Vasseur, in questa chiave di lettura, appare come un manager competente ma non ancora in grado di esercitare quella forza carismatica e decisionale che può fare la differenza ai massimi livelli. Il messaggio che Ecclestone lancia alla Ferrari è semplice ma scomodo: senza una guida forte, nemmeno il talento cristallino di Leclerc e l’esperienza di Hamilton basteranno a riportare la Ferrari sul tetto del mondo.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP, F1
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