Il driving di Lewis Hamilton è così brutto da non sembrare vero. Questa la fotografia – impietosa ma brillante nei colori e definita nei contorni – della prima stagione in Ferrari del 40enne di Stevenage. Prestazioni frutto di un adattamento tecnico e ambientale mai concretizzatosi. Dinamica che, secondo qualcuno, dovrebbe imporre al sette volte iridato un approccio meno duro in certe conferenze.
Da qualche tempo, Lewis ha preso a esprimere giudizi molto taglienti sulla SF-25, lasciando intendere che si tratti di un progetto agonizzante sul quale è inutile spendere tempo e denaro. Anche nell’approccio al GP d’Austria, l’ex Mercedes ha fatto capire che sarebbe più saggio lavorare in ottica 2026, per presentarsi all’alba della Formula 1 della grande rivoluzione con una verve tecnica diversa, più pimpante.
Le continue bordate stanno diventando invise a parte della tifoseria rossa. Personalmente, invece, le trovo molto centrate. Lewis evidenzia che con Charles Leclerc sta lavorando per offrire feedback volti a superare le difficoltà dei sistemi sospensivi, quello che è il grande busillis del Progetto 677.

Lewis Hamilton: le critiche alla Ferrari SF-25 sono lecite
Qualcuno ha fatto notare che Hamilton non è nuovo al rimprovero, avendo espresso riserve in McLaren e in Mercedes negli anni in cui questi team hanno sfornato macchine lente e non all’altezza del suo talento. Ora lo fa pure in Ferrari. Ma dov’è la notizia? Dove sarebbe l’anomalia? I piloti forti criticano le auto che non vanno bene invece di piegarsi a un aziendalismo di comodo. Essere acritici è un segno di debolezza, non una virtù.
Viva Hamilton che sprona duramente la Ferrari; viva Lewis che lancia intemerate. Il britannico ci crede e si agita. Comprensibile. Preferivate la resa incondizionata e le lodi pubbliche per qualcosa che, è sotto gli occhi di tutti, non funziona?
Vedere un pilota che fa pubbliche dichiarazioni senza filtri – che qualcuno sta condannando – è un atteggiamento che andrebbe positivamente evidenziato, poiché si intravede la decisa volontà di spronare non solo tecnicamente ma anche psicologicamente un’équipe che, in questa fase, non è al top della forma, condizionata com’è dalle incertezze sul futuro di Fred Vasseur.

Un po’ di sana critica in un mare di lodi decentrate e fuori contesto è quel che serve. E forse ciò racconta una verità che può far male a qualcuno che opera a Maranello: se le cose vanno male non è colpa di chi lo narra, ma di chi ha creato questa situazione.
Hamilton conferma i disagi tecnici del team. Lewis sta sottoperformando rispetto a Leclerc, è un dato di fatto oggettivo, ma non si osserva una distanza così marcata. Insomma, il britannico non si comporta da Perez della situazione, né il monegasco fa il Verstappen.
Il ragionamento è semplice: la SF-25 è il vero problema della Ferrari, non lo sono né Hamilton né Leclerc che, al di là di podi estemporanei, non hanno potuto incidere a causa delle carenze endemiche di un progetto che forse andrebbe cestinato per concentrarsi sul 2026. Come, appunto, suggerisce il sette volte iridato, dall’alto di una visione strategica più lucida.
Forse uno dei problemi che incastrano la Ferrari è il troppo amore di chi, per fede, non tollera che qualcuno – da dentro o da fuori – possa muovere critiche costruttive per destarsi dal torpore operativo. Lo staff tecnico della Scuderia ha lavorato male: è un fatto. Perdersi in guerre e scorribande tra tifosi polarizzati in fazioni serve solo a trovare comodi alibi, che rischiano di alimentare un mostro vorace.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
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