Ferrari: il dito, la luna e gli osservatori ciechi

La Ferrari sprofonda e parte la solita corsa a individuare il colpevole di turno. Se si evitasse di nuotare sul pelo dell’acqua si capirebbe che forse i problemi sono più a fondo

In Ferrari le cose girano male. Malissimo. Il Gran Premio di Gran Bretagna è stata una scoppola, l’ennesima, per un team che ha smarrito la bussola e che, per dirla alla Carlos Sainz che non si disunisce nelle difficoltà rimanendo sempre estremamente lucido, ha “perso due mesi di sviluppo”. 

Se il bandolo della matassa verrà individuato lo capiremo solo nei prossimi appuntamenti iridati. Silverstone è stata una mega raccolta dati che ora andranno analizzati per trovare schemi operativi sensati e che sappiano tirar fuori la SF-24 dal baratro tecnico in cui è precipitata.

Quando in Ferrari la mestizia regna sovrana parte la solita, tediosa, caccia al colpevole. Esercizio tanto amato da certi osservatori giustizialisti che provano ad ammantarsi di garantismo nelle loro uscite social ma che, in realtà, sono i primi a girare con i forconi in una mano e le molotov nell’altra. Ogni riferimento a certi narratori è puramente voluto. 

Cosa c’è di più confortevole per il tifoso (ma anche per il presunto analista che non sa mondarsi dalle sue passioni perdendo lucidità e di conseguenza capacità valutativa) dell’individuare ogni volta un colpevole diverso per giustificare le debacle della sua squadra del cuore?

In principio (giusto per circoscrivere l’indagine storica all’epoca delle vetture a effetto suolo) fu Mattia Binotto. L’ingegnere di Losanna come la causa di ogni male. Un mantra martellante proferito dai soliti noti che, come la goccia cinese, ha scavato il cervello di chi doveva decidere dei fatti rossi e che ha di conseguenza provveduto a un licenziamento per direttissima nascosto da dimissioni spontanee e concordate.

Binotto Aston Martin
Mattia Binotto, ex team principal Ferrari

Disclaimer: chi scrive non ha intenzione di rivalutare Binotto, ha solo lo scopo di spiegare che in quel covo di serpi che è la Gestione Sportiva (che nessuno s’offenda se si usano espressioni dure ma fortemente fotografanti), spesso, si ammazzano gli uomini che soccombono al contesto. 

Ecco, è l’ambiente che non funziona. Quando lo si capirà sarà sempre troppo tardi. Oggi è il turno di Enrico Cardile. Sì, sicuramente l’ingegnere ha “cannato” gli sviluppi, ma ritenerlo il solo colpevole è ridicolo. Così come dargli del mezzo traditore perché sceglie (pare) Aston Martin per il suo futuro professionale.

Dove l’abbiamo già vista concretizzarsi questa dinamica? Non vi soggiunge nulla alla mente? Vi aiuto io: è successo con David Sanchez. L’ingegnere, poco dopo l’avvio della stagione 2023, mollò Maranello per legarsi alla McLaren dopo un necessario gardening. Questo accadde sotto la gestione Vasseur, il cuoco trasformatosi in lavapiatti, il demone che diventa innocuo puttino. 

Come anticipato per Binotto, mutatis mutandis, questo non vuole essere un esercizio che disabilita il manager francese. Se Sanchez è andato via nel bel mezzo della burrasca e se Cardile fa lo stesso quando le acque riprendono a farsi tumultuose non è colpa del buon Fred, ma di un sistema condizionato da ataviche problematiche che non è possibile spazzar via in un anno e mezzo.

Chiaramente Vasseur ha le sue responsabilità, come ne aveva Binotto, ma è presto per prendere legno, chiodi e corde e crocifiggerlo. Ma la fiducia ha una data di scadenza e presto la GeS deve darsi una struttura efficiente ed efficace. Altrimenti anche Fred, che gode ancora di una stampa amica, diventerà l’orco cattivo per i nostri fini osservatori del nulla osservanti, per i prodi direttori che non dirigono e per i soliti ingegneri che poco comprendono e che hanno trovato in Enrico Cardile il nuovo capro espiatorio.

Soggetti che forse giocano un ruolo per tenersi buono chi ogni tanto passa mezza notizia – spesso rotta e infondata – comprandosi una  dignità professionale che, evidentemente, ha un prezzo molto basso.


Crediti foto: Formulacritica, Scuderia Ferrari HP

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