Parliamoci chiaro: Ferrari è Ferrari. La Rossa di Maranello non è semplicemente una scuderia di Formula 1, è un’istituzione. È il simbolo di un’intera nazione, l’incarnazione del sogno italiano, la passione che attraversa generazioni. In ogni angolo del mondo, pronunciare la parola “Ferrari” evoca emozioni, ricordi, bandiere sventolanti al vento dei circuiti. È l’unico team presente sin dalla nascita del Mondiale di Formula 1 nel 1950, un patrimonio di storicità che nessuno può mettere in discussione.
I ferraristi sono milioni, sparsi in ogni continente, uniti da un tifo viscerale che supera logica e ragione. Quando la Ferrari vince, è una festa nazionale. Quando perde, è un lutto collettivo. Questa capacità di muovere emozioni così profonde è qualcosa di unico nello sport motoristico, forse nello sport in generale. E tutto questo merita rispetto, ammirazione, riconoscimento.
Ma proprio qui sorge una domanda scomoda, che nessuno vuole farsi.
La dura verità dei numeri
Sono passati 18 anni dall’ultimo titolo piloti. Era il 2007, Kimi Räikkönen alzava il trofeo in una stagione thrilling. Per il titolo costruttori dobbiamo attendere un anno in più: 2008. Da allora? Il deserto. Un deserto lungo quasi due decenni, popolato da speranze infrante, stagioni promettenti naufragate, rivoluzioni tecniche fallite e un infinito valzer di direttori tecnici, team principal e piloti che sono passati a Maranello senza lasciare altro che rimpianti.
Certo, ci sono stati momenti in cui la fiamma della speranza si è riaccesa. Il 2017 e il 2018 con Vettel sembravano gli anni della rinascita, ma sappiamo tutti come è andata a finire. Il 2022 ha portato entusiasmo con la F1-75, la macchina più veloce in pista a inizio stagione, ma gli errori strategici e l’affidabilità hanno fatto il resto. Il 2024? Leclerc ha vinto a Monaco e Monza, regalando emozioni, ma la realtà è quella di una Ferrari che si è ritrovata a lottare per il terzo posto nel mondiale costruttori, lontana anni luce dalla McLaren dominante.
In 18 anni, Ferrari non è mai stata una vera, credibile contendente al titolo. Qualche sprazzo, sì. Qualche momento di gloria, certo. Ma la sostanza è questa: Maranello non vince più.
L’ossessione mediatica
Eppure, aprite un sito di F1 qualsiasi (anche il nostro). Quali sono le notizie? Ferrari.
Leggete un giornale sportivo. Di cosa si parla? Ferrari.
Ascoltate un podcast. L’argomento principale?
Ferrari.
Ogni singolo movimento a Maranello viene analizzato, sviscerato, commentato all’infinito. Un aggiornamento aerodinamico diventa un caso di Stato. Una dichiarazione di Vasseur viene interpretata in 47 modi diversi. Elkann che respira nelle vicinanze di Horner diventa “BOMBA: Elkann vuole Horner al posto di Vasseur!”. E così via, in un loop infinito di analisi, indiscrezioni (spesso false), retroscena (spesso inventati) e scomode verità (spesso ovvie).
Ma la domanda è: perché? Perché dedichiamo così tanta attenzione, così tante energie, così tanto spazio mediatico a un team che, diciamolo, negli ultimi 18 anni ha fatto più rumore che risultati?
Quello che ci stiamo perdendo
Mentre siamo tutti concentrati sull’ennesima rivoluzione tecnica di Maranello o sull’ennesima indiscrezione di mercato legata alla Ferrari, ci stiamo perdendo storie straordinarie.
La McLaren è tornata. Davvero tornata. Dopo anni bui, dopo la separazione traumatica con Honda, dopo stagioni da dimenticare, il team di Woking è risorto e ha dominato il 2024. È una case study di gestione manageriale impeccabile. Eppure ne parliamo un decimo rispetto a Ferrari, anzi li critichiamo e li accusiamo di barare.
La Mercedes ha dimostrato ancora una volta che quando c’è lo spiraglio per attaccare, è pronta a mordere. Dopo il disastro della W13, potevano implodere. Invece sono tornati a vincere. Wolff ha risposto presente, come sempre. Ma no, meglio concentrarci su Leclerc a bordo di un minivan con Sainz.
Il 2026 sarà una rivoluzione totale: nuove power unit, nuove regole, nuovi equilibri. Ci sono preoccupazioni tecniche reali sui limiti delle PU, dubbi e indiscrezioni sulle direzioni che prenderanno i team. Ma di cosa parliamo? Di come Ferrari affronterà il 2026, ovviamente.
Cadillac sta per entrare in F1. Un marchio americano iconico, un progetto ambizioso, un’espansione del campionato. Audi sta completando la trasformazione di Sauber. Sono storie epiche, progetti che cambieranno il volto della Formula 1. Ma devono accontentarsi delle briciole mediatiche, perché il piatto principale è sempre riservato a Lei, la Ferrari.
E Max Verstappen? Ha riaperto un mondiale che a marzo sembrava chiuso, con una McLaren dominante che avrebbe dovuto spazzare via tutti. Invece Max ha tirato fuori prestazioni aliene, ha tenuto in vita la Red Bull, ha reso il campionato imprevedibile. Una storia sportiva pura, bellissima. Ma no, troppo banale. Meglio speculare sul perché Ferrari impone il lift and coast continuo ai suoi piloti.
Il problema vero
Ecco il punto: Ferrari sta distogliendo l’attenzione dallo sport.
Questa ossessione mediatica per Maranello ci sta facendo seguire la Formula 1 in modo malato, distorto. Ci sta rendendo ciechi davanti alle prestazioni straordinarie di altri team, ci sta facendo perdere il gusto delle storie vere di questo sport, ci sta trasformando in critici seriali incapaci di apprezzare chi sta facendo davvero un gran lavoro.
- McLaren ha costruito una macchina dominante? Sì, ma Ferrari ha sbagliato l’evoluzione aerodinamica.
- Mercedes vince a Singapore? Interessante, ma avete visto che Ferrari vuole Horner?
- Verstappen sta compiendo l’ennesimo miracolo sportivo? Bello, ma Leclerc è un talento generazionale.
È un modo tossico di vivere la Formula 1. Un’ossessione che porta benefici solo ai click facili e agli articoli acchiappa-attenzione, ma che impoverisce il dibattito, l’analisi, la comprensione vera di questo sport.
La verità che fa male
Eccola, la verità scomoda: Ferrari non merita più attenzioni di una Haas o di una Sauber.
Sì, avete letto bene. Sul piano dei risultati recenti, della competitività reale, delle prospettive concrete di vincere un titolo, Ferrari è un midfield team con un budget da top team e un’eredità storica ingombrante. Punto.
Certo, il blasone conta. La storia conta. Ma se continuiamo a dare a Ferrari il 70% dell’attenzione mediatica mentre produce il 15% dei risultati, stiamo semplicemente alimentando un circolo vizioso che non fa bene né ai tifosi, né alla Formula 1, né alla stessa Ferrari.
È ora di cambiare prospettiva
Non si tratta di smettere di parlare di Ferrari. Si tratta di ridimensionare. Di dare a questa squadra l’attenzione che merita in base a quello che fa in pista oggi, non in base a quello che ha fatto nel 2000.
Si tratta di aprire gli occhi e rendersi conto che la Formula 1 del 2025 è uno spettacolo straordinario fatto di tante storie, tanti protagonisti, tante sfide affascinanti. E che concentrarsi ossessivamente su un solo team ci sta facendo perdere tutto il resto.
Ferrari tornerà a vincere? Forse sì, forse no. Ma nel frattempo, smettiamo di comportarci come se fosse l’unico team che conta. Perché non lo è più.
E questa, cari lettori, è la verità più scomoda di tutte.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP