All’ennesima stagione che parte in salita viene spontaneo chiedersi perché la Ferrari, pur avendo un budget superiore alla concorrenza, pur disponendo di strutture all’avanguardia, pur possedendo un background motoristico superiore a chiunque altro, pur correndo con piloti di vertice, non riesca a vincere da così tanti anni.
La mente va subito a cercare nel passato qualcosa che distingua la squadra attuale dall’ultima Ferrari vincente dell’era Schumacher o anche rispetto ad altri team che nell’ultimo ventennio si sono alternati nel dominio di questa categoria.
La risposta può apparire astratta, ma è molto più reale di quanto si pensi, e sto parlando dell’anima, sì, un’anima fatta di passione e voglia di fare che porta a spingere il cuore oltre l’ostacolo, che porta ad osare ed essere ossessionati dalla vittoria.

Come ha fatto un team piccolo, senza esperienza in F1, che partiva da una base disastrosa come era la Jaguar, ad arrivare in pochi anni ai vertici della F1 e dominare in maniera schiacciante per due cicli di 4 anni, dove hanno vinto praticamente tutto? La risposta sta certamente nella competenza, ma anche e soprattutto nella voglia di vincere a tutti i costi, per la quale ognuno ha dato tutto per raggiungere l’obiettivo che era l’unico possibile. E l’avere in organico un genio come Adrian Newey è solo una parte del tutto.
In Ferrari, pur essendosi alternati tecnici di grande valore come Aldo Costa o James Allison, che altrove hanno stravinto, si dimostra che il problema non sta nei singoli, ma nell’organizzazione interna, nel modo di fare le cose e di inseguire la vittoria non in maniera assoluta, ma solo finché si può, perché tanto si vincerà l’anno prossimo e la Ferrari sarà sempre la Ferrari nei secoli dei secoli.
Se analizziamo i migliori periodi dagli anni ‘90 ad oggi, coincisi con il ciclo vincente di Jean Todt, dove il team di Maranello ha stravinto, e gli anni di Maurizio Arrivabene, dove non si è vinto ma si è riusciti nell’impresa di colmare un gap molto ampio nei confronti di un avversario fortissimo e arrivare a contendersi il mondiale nell’epoca del dominio più totale che questo sport ricordi.
Al di là delle capacità dei team principal – universalmente riconosciute quelle del francese e controverse quelle dell’italiano – la vera differenza è che in entrambi i casi c’erano figure importanti sedute sulla poltrona di presidente, ovvero due top manager: Luca Cordero di Montezemolo e Sergio Marchionne, personaggi dal grande carisma, sempre presenti in sede e sul campo a spingere il team verso l’unico obiettivo possibile: la vittoria.
Presidenti che ci mettevano il cuore e soprattutto la faccia, che non accettavano la sconfitta e davano un’anima alla squadra, fornivano quella motivazione in più per responsabilizzare ogni membro a dare il massimo senza accontentarsi. Ed è questa l’unica via per battere la concorrenza agguerritissima degli inglesi, che non sono meglio di noi, sanno solo fare meglio le cose.
In quegli anni era molto frequente vedere facce scure per un secondo posto e, nelle gare in cui c’erano problemi, i lunedì a Maranello non erano propriamente tranquilli. Esisteva una pressione creata dal presidente, che chiedeva conto ai diretti responsabili degli eventuali errori commessi nel weekend. Oggi, invece, si vede il buono in ogni prestazione e si arriva a giustificare una doppia squalifica che mette alla berlina il blasone della Rossa davanti a tutto il mondo con la motivazione che si stava spingendo al limite! Perché, gli altri che fanno? Viaggiano con le pantofole?
Dalla dipartita di Sergio Marchionne non esiste un vero presidente seduto nella stanza alla gestione sportiva, una figura che dia anima alla squadra, perché John Elkann è il presidente di Stellantis e mille altre cose; in Ferrari riveste solo un ruolo istituzionale, non occupandosi in alcun modo della squadra F1, mentre l’amministratore delegato Benedetto Vigna svolge un ruolo prettamente amministrativo e avulso dalla pista. Rimane solo il team principal, che di fatto non fa riferimento a nessuno se non a vertici disinteressati e poco competenti rispetto a quello che succede nei Gran Premi in giro per il mondo.
La Ferrari di oggi è una holding quotata in borsa che fa record di utili anche se non vince il mondiale da tempi immemori, una realtà che non ha bisogno di vittorie per crescere e progredire perché ha un marchio talmente forte che basta il mito e una buona strategia di marketing a renderlo sempre redditizio. Inoltre, le auto stradali si vendono benissimo perché il mito le rende uniche e desiderate.

Questo Frédéric Vasseur lo sa bene e così quasi tutti a Maranello, per cui la priorità non è vincere a tutti i costi, ma esserci e non fare brutte figure (come avveniva nell’era di Mattia Binotto). E il non avere nessuno alla presidenza che ti aspetta il lunedì induce a fare il compitino e ad accontentarsi di buone prestazioni quando non si riesce a tagliare il traguardo in prima posizione.
Finché John Elkann, che non fa il presidente ma di fatto detiene il potere e prende le decisioni più importanti, non capirà che la sedia di presidente va occupata da un uomo forte e competente, che non si accontenti di partecipare ma che sappia valorizzare ed estrarre il potenziale dalle importanti professionalità presenti, sappia battere i pugni sul tavolo quando i risultati non arrivano in modo che nessuno faccia sogni tranquilli quando la Ferrari non fa la Ferrari, e dare un’anima e uno spirito guerriero alle tante maestranze di Maranello, rappresenta l’unica via per vincere davvero.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
Caro Altamura, grazie , leggo qualcosa che mi ha aperto il cuore ed é andato dritto al problema, finalmente una persona competente che ha capito quale è il problema della Ferrari f1………
Questo articolo lo deve mandare ad Elkann !
Caro Roberto, grazie per il commento cosi lusinghiero, mi fa piacere che il mio pensiero sia condiviso perchè da vecchio ferrarista sono davvero convinto che quello sia ilproblema atavico della nostra amata/odiata rossa