La Ferrari lascia il Qatar con una certezza e una sola: questa non è una squadra che perde, è una squadra che sembra volersi sabotare da sola. L’ottava piazza di Charles Leclerc e la dodicesima di Lewis Hamilton non sono un risultato occasionale, ma il punto di approdo di una sequenza impressionante di decisioni sbagliate, tutte prese con ostinata determinazione.
È quasi un talento: sbagliare sempre, sbagliare bene, sbagliare fino in fondo. D’altro canto, proprio alla vigilia dell’evento qatariota è stato Fred Vasseur ad ammettere che lo sviluppo di quel ferro da stiro chiamato SF-25 è stato bloccato in primavera, una volta avvedutisi che la McLaren era troppo avanti, per puntare al nuovo contesto normativo. Immaginate se Red Bull avesse fatto la medesima cosa…
Il Gran Premio di Lusail ha certificato ciò che molti temevano: la Ferrari 2025 ottiene la medaglia di legno: il secondo posto è matematicamente sfumato, il terzo lo agguanta Milton Keynes. La SF-25, in effetti, è un pezzo di legno ambulante e non poteva puntare ad ottenere medaglie di metalli più nobili. Il team, dal canto suo, manca totalmente una direzione. Il Cavallino Rampante procede a zig zag, sperando che prima o poi una scelta casuale si riveli corretta. Ma le scelte, quelle vere, quelle strategiche, hanno già presentato il conto.

La più sanguinosa delle decisioni sbagliate? Diciamolo a chiare lettere: non aver puntato su Adrian Newey quando era evidente a chiunque, anche al più distratto osservatore del paddock, che la rivoluzione 2026 richiedeva un genio aerodinamico, non un comitato interno di buone intenzioni. Mentre McLaren costruiva un dream team e Red Bull blindava le sue competenze chiave nonostante il grande addio di “sua genialità”, la Ferrari ha scelto di guardare altrove. E dall’altro lato della siepe non c’era niente. Non sono riusciti nemmeno a prendere Pino Pesce da Woking quando hanno forse capito che all’interno mancava qualche figura di rilievo nella progettazione aerodinamica.
Poi c’è stato il colpo di teatro: l’ingaggio di Lewis Hamilton. Una mossa più d’immagine che di sostanza, spacciata come la svolta epocale capace di riportare Maranello ai fasti del passato. Nei fatti, si sta rivelando un’operazione costosissima, in ogni senso. Hamilton ha elevato le aspettative a un livello che la macchina non può nemmeno sognare di raggiungere. Il risultato? Pressione ingestibile, narrazione fuori controllo, frustrazione crescente. Lewis non è il problema e se lo è non è il primo. Il difetto reale è che la Ferrari continua a comportarsi come se bastasse un nome altisonante per aggiustare una struttura che non funziona.

E poi è arrivata una notizia apparentemente marginale ma che è assai sostanziosa: la partenza di Wolf Zimmermann. Uno degli ingegneri chiave della power unit 2026, la figura che lavorava a un progetto già di per sé complesso, ha salutato. In un momento in cui la Formula 1 si prepara alla più grande rivoluzione tecnica e motoristica degli ultimi due decenni, perdere una delle menti che guidava lo sviluppo del cuore pulsante della vettura – il nuovo V6 turbo-ibrido – è un segnale che definire preoccupante è un esercizio di gentilezza.
In questo contesto, sentire parlare di maggiore disponibilità di ore in galleria del vento e CFD grazie al meccanismo ATR suona quasi come una presa in giro. È un po’ come regalare più tempo per studiare a uno studente che però non ha il libro giusto, il metodo giusto, né l’insegnante giusto. Le ore in più non contano nulla se chi deve usarle non ha una visione chiara, una reazione rapida, una direzione tecnica coerente.
Gli altri costruiscono. La Ferrari rincorre. Gli altri correggono. La Ferrari giustifica. Gli altri attraggono competenze. La Ferrari perde Zimmermann, Cardile e rinuncia a Newey. Il quadro è sufficiente per capire che il 2026 rischia di nascere defunto.
Il Qatar non è stato l’ennesimo incidente. È stato un promemoria: la Ferrari continua a vivere di annunci, mentre gli altri crescono con i fatti. E se non cambierà radicalmente il modo di decidere, la maniera di pianificare e il capacità di reagire, sarà ricordata non per le vittorie sognate, ma per la costanza con cui riesce a trasformare potenziali punti di forza in fragilità.
La medaglia di legno non è un caso. È un avvertimento. E il 2026 si avvicina. Senza tecnici di grido, con un Hamilton deluso e una direzione tecnica che non ha ancora dimostrato di saper correggere i propri errori. Il Cavallino Rampante è di nuovo a un bivio. Ma la vera domanda è: qualcuno là dentro sa ancora leggere le indicazioni stradali?
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
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