Non è molto incoraggiante ciò che emerge da una ricostruzione del Corsera in relazione a quanto sta accadendo in Ferrari. C’è qualcosa che non va nell’asse Maranello-pista. Questo sarebbe il concetto espresso da Lewis Hamilton e che avrebbe fatto sobbalzare più di un dirigente della Rossa.
Il sette volte campione del mondo, ormai sempre più coinvolto nei processi tecnici e organizzativi del team dopo un ingresso “soft” nella scuderia italiana, avrebbe inviato un nuovo rapporto alla dirigenza sottolineando la necessità di un cambiamento netto nei metodi e nelle procedure operative.

Ferrari: Matteo Togninalli nell’occhio del ciclone?
Non sono giunte smentite ufficiali ma il chiacchiericcio resta. A Maranello si respira un clima di crescente preoccupazione. La Scuderia – e stavolta sono arrivate le parole del team principal – ha negato qualsiasi alterco tra Frédéric Vasseur e Matteo Togninalli, coordinatore delle attività in pista. Ma il lavoro dell’ingegnere italiano è nuovamente finito sotto esame.
Figura di riferimento del cosiddetto “gruppo pista”, Togninalli rappresenta un ingranaggio fondamentale nella catena di comando e già in passato – dopo la doppia squalifica in Cina – era stato interrogato sui processi decisionali interni. Allora riuscì a riconquistare la fiducia del vice team principal Jérôme d’Ambrosio e del direttore tecnico Loïc Serra. Oggi, però, la situazione appare più delicata.
Negli ultimi mesi si sono moltiplicate le segnalazioni di errori nello sviluppo della vettura, nelle modifiche apportate tra una sessione e l’altra e nella gestione dei weekend di gara. Gli ingegneri partono da configurazioni efficaci, costruite sulle simulazioni di Maranello, ma la SF-25 tende a perdere competitività proprio quando le condizioni di pista cambiano o si passa alla fase delle qualifiche. Da qui il mistero – ormai svelato – di una Ferrari che spesso brilla al venerdì per poi svanire nel momento decisivo.
Uno dei problemi principali riguarda la gestione eccessivamente centralizzata delle attività in pista. La struttura voluta da Vasseur garantisce controllo, ma limita la flessibilità operativa e rallenta la capacità di reazione. Nei momenti in cui serve intuito, rapidità e adattamento, la catena di comando si irrigidisce.
È un difetto che emerge con forza soprattutto in qualifica, dove bastano pochi secondi o una lettura precisa del comportamento degli pneumatici per guadagnare posizioni. E proprio gli pneumatici rappresentano uno dei nodi più critici: la difficoltà cronica nel portarli nella corretta finestra di temperatura costringe i piloti a guidare sul filo del grip, spesso con un’ansia che influisce anche sulle prestazioni complessive.

Sul piano tecnico, questa instabilità deriva da una correlazione ancora imperfetta tra i dati di simulazione e la risposta reale della vettura. un aspetto che spaventa in chiave 2026. Il pacchetto sospensivo, anche quello nuovo che non ha cambiato l’inerzia di un mondiale deludente, è troppo rigido e con una finestra operativa stretta. Il che rende difficile mantenere il bilanciamento aerodinamico ideale quando cambiano carichi o temperature. Il risultato è una vettura veloce in condizioni perfette (quando le altezze operative sono idonee), ma fragile appena si esce dai parametri ideali.
La Ferrari, avvedutasi che non ha margini di sviluppo, ha adoperato un approccio ultra-conservativo consegnando la vettura al proprio destino infausto. Un atteggiamento comprensibile, ma che ha irrigidito ancora di più i processi interni, togliendo margine alla sperimentazione e alla capacità d’improvvisazione. Due elementi fondamentali per fare la differenza nei weekend più incerti.
Ferrari: troppi talenti in fuga?
Il problema, però, non si limita al piano operativo. Secondo diverse fonti, la Scuderia starebbe affrontando una crisi più profonda, legata alla fuga di talenti dal gruppo pista. Negli ultimi anni, molti ingegneri esperti hanno lasciato il team, spesso dopo aver espresso la necessità di un cambiamento nei metodi di lavoro. Alcuni di loro sono approdati in altri reparti o in scuderie rivali, mentre altri hanno semplicemente abbandonato il progetto. Ultimi in ordine di tempo Enrico Cardile e Wolff Zimmermann, uno dei responsabili del propulsore 2026.

I sostituti arrivati non sono riusciti, almeno per ora, a garantire lo stesso livello di continuità e coesione tecnica. Il risultato è un apparato operativo sotto pressione, in cui la stabilità delle relazioni interne sembra ogni giorno più fragile.
Lewis Hamilton, che fin dai primi incontri a Maranello ha insistito sul tema della comunicazione tra reparti e sulla chiarezza dei ruoli, avrebbe messo nero su bianco le sue osservazioni. Il britannico chiede un metodo di lavoro più diretto, meno burocratico, in cui la voce dei piloti e degli ingegneri di pista pesi di più nelle decisioni strategiche. Un approccio simile a quello che Mercedes ha adottato nei suoi anni d’oro, e che Hamilton ritiene indispensabile per far crescere il Cavallino Rampante in tempi brevi.
Frédéric Vasseur, da parte sua, non può ignorare il messaggio. Dopo stagioni di transizione, il 2025 è stata una prova non superata prima della rivoluzione regolamentare del 2026. E se le tensioni interne non si risolveranno, la Scuderia rischia di arrivare impreparata all’appuntamento più importante del decennio.

A Maranello si sta consumando un passaggio delicato: la Ferrari è davanti a un bivio tra continuità e rinnovamento. Le smentite non bastano più a nascondere un malessere profondo, che coinvolge tanto la catena tecnica quanto la cultura organizzativa.
Vasseur dovrà decidere presto se mantenere intatta la struttura o intervenire con decisione. Perché, in Formula 1, non esiste equilibrio senza fiducia. E quando i dubbi arrivano da un campione del mondo come Hamilton, ignorarli sarebbe il primo errore di una lunga serie.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
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