La Ferrari, simbolo eterno di passione e gloria nella Formula 1, da anni fatica a ritrovare quei trionfi che un tempo l’hanno resa regina del motorsport. Nonostante l’impegno costante e la qualità dei piloti, il titolo mondiale continua a restare lontano.
Cosa manca davvero alla scuderia di Maranello per tornare al vertice? Forse la risposta si cela nella gestione del team, che negli anni ha mostrato poca continuità e una leadership instabile, incapace di costruire un progetto vincente nel tempo. In questo articolo analizziamo cosa hanno in comune le squadre più vincenti della storia della F1, soffermandoci su un aspetto spesso trascurato ma decisivo: il legame tra leadership operativa e proprietà. Una relazione solida, presente in tutte le epoche d’oro delle grandi squadre, che potrebbe indicare alla Ferrari la strada per tornare a vincere.
Leadership e proprietà: i pilastri delle squadre vincenti
Nella massima categoria del motorsport, il successo non nasce solo da una buona macchina o da un campione al volante. Dietro ogni vittoria c’è una struttura solida, guidata da una direzione forte e da una visione strategica chiara. Le squadre vincenti sono quelle che hanno saputo unire capacità tecnica e stabilità decisionale, con un rapporto diretto e virtuoso tra direzione operativa e proprietà.

1950 – 1969: pionieri e visione diretta
La Formula 1 nasce nel 1950. Nel primo ventennio dominano squadre fondate e gestite direttamente dai loro creatori: Enzo Ferrari, Tony Vandervell (Vanwall), Jack Brabham, Colin Chapman (Lotus) e John Cooper.
Tutti questi team erano diretti da personalità carismatiche che prendevano decisioni rapide e strategiche, senza filtri o comitati.
L’identità tra proprietà e gestione operativa era totale. E i risultati si sono visti: titoli mondiali e innovazioni rivoluzionarie che hanno cambiato la storia del motorsport. Ferrari, in questo contesto, era perfettamente allineata con la struttura vincente dell’epoca: fondatore presente, gestione diretta, massima autonomia.
1970 – 1989: il modello manageriale si afferma
Negli anni ’70 e ’80 si afferma un modello diverso: la figura del Team Principal diventa centrale. Le squadre vincenti affidano la guida a manager di grande visione, lasciandoli lavorare senza interferenze. Colin Chapman continua a guidare Lotus con la sua impronta totalizzante fino alla sua morte. Ron Dennis, TP e co-proprietario insieme a Mansour Ojjeh, porta la McLaren ai vertici con una gestione integrata e innovativa. Frank Williams, TP e proprietario, fa lo stesso con la sua scuderia, costruendo un impero tecnico e sportivo.
Ferrari, invece, vive un periodo turbolento: si alternano TP italiani senza pieni poteri, mentre Enzo Ferrari, sempre più anziano e lontano, fatica a lasciare spazio a un’organizzazione moderna. I risultati arrivano a fasi alterne, ma la continuità manca.

1990 – 2009: l’epoca della leadership solida
È in questo periodo che Ferrari torna grande. E lo fa replicando il modello vincente: Jean Todt, Team Principal con pieni poteri, e Luca Cordero di Montezemolo, presidente fortemente presente, guidano la Scuderia con visione, stabilità e coerenza. Alle loro spalle, la Fiat degli Agnelli finanzia il progetto, ma non interferisce. È il periodo d’oro: 6 titoli costruttori, 5 piloti. Una macchina da guerra tecnica e organizzativa.
Nel frattempo, la Renault di Flavio Briatore vince quattro titoli mondiali: anche qui un TP forte, pienamente autonomo, supportato da una proprietà non invadente. Red Bull entra in scena nel 2005 e, nel giro di pochi anni, sotto la guida di Christian Horner, pone le basi per una squadra vincente, con una struttura chiara e non frammentata.
2010 – oggi: Ferrari nel limbo, gli altri scelgono la continuità
Negli ultimi 15 anni, le squadre che hanno vinto sono quelle che hanno mantenuto la rotta: Red Bull ha confermato Horner, vincendo otto titoli mondiali in due fasi distinte, caratterizzate da cambi drastici dei regolamenti tecnici, grazie anche alla stabilità garantita da una proprietà non invadente come quella del compianto Dietrich Mateschitz.
Mercedes ha scelto Toto Wolff come TP e azionista, supportato da una proprietà forte (Daimler) ma discreta, che ha lasciato pieno spazio alla gestione operativa: il risultato sono 7 titoli piloti e 8 costruttori. McLaren si sta rilanciando con la coppia Stella – Brown, con la proprietà (fondi di investimento) “alla finestra”, cioè presente ma non invasiva. Un modello che ricorda da vicino quello vincente della Ferrari dei primi anni 2000: TP forte, presidente presente, proprietà distante ma coinvolta nei momenti chiave.
La scuderia emiliana, dopo la scomparsa di Sergio Marchionne – che sembrava voler ripristinare il modello precedente con un presidente forte e presente – ha cambiato quattro manager in pochi anni: Maurizio Arrivabene, Marco Mattiacci, Mattia Binotto, Frédéric Vasseur. Ognuno con approcci diversi, ma nessuno con reale continuità o pieno supporto.
La proprietà, formalmente nelle mani di Exor, è rappresentata da John Elkann, raramente presente ai GP, ma decisore di scelte chiave come appunto i direttori di squadra e piloti (vedi la decisione di puntare su Lewis Hamilton). Il CEO Benedetto Vigna, invece, appare spesso nei media con dichiarazioni ambiziose, ma non sembra avere un ruolo definito nella strategia sportiva.
Questo assetto ibrido, in cui la proprietà non si espone ma interviene, non sembra portare risultati. È una struttura incoerente: più evidente nei proclami che nei fatti. A confermare questo trend ci sono altri team in difficoltà, forse per gli stessi motivi: Haas, con proprietà americana lontana ma decisionista e TP isolato;
Renault/Alpine, con cambi continui e assenza di una guida forte; Williams, che dopo la morte di Frank non ha più ritrovato stabilità né identità.
Ferrari, la strada per tornare grande
La storia della Formula 1 dimostra con chiarezza che le squadre vincenti sono quelle in cui la leadership operativa gode della fiducia e dell’autonomia necessarie da parte della proprietà. Ferrari ha trionfato quando questa condizione era rispettata. Oggi, invece, paga un’organizzazione instabile, con decisioni verticistiche incoerenti e una proprietà che appare distante nei momenti decisivi, salvo poi intervenire in modo scoordinato.
Guardando ai modelli attuali di successo – Red Bull, Mercedes e ora McLaren – la ricetta sembra chiara: serve una visione strategica di lungo periodo, una leadership forte e autonoma, e una proprietà che supporti senza invadere. Ricostruendo questo equilibrio, la Ferrari forse potrà davvero tornare a essere un riferimento assoluto nel panorama della Formula 1.
Crediti foto: Scuderia Ferrari