La crisi Ferrari non nasce in Qatar parte da molto lontano, è risaputo. Ma a Lusail ha assunto una forma quasi didattica, perfetta per capire dove realmente stia il nodo tecnico che affligge la SF-25. La scarsa competitività mostrata da Charles Leclerc e soprattutto il fine settimana da incubo di Lewis Hamilton fotografano una vettura che non solo ha un deficit prestazionale evidente, ma che soffre di instabilità meccanica e aerodinamica inaccettabile in una Formula 1 sempre più dipendente dalla simulazione e dalla correlazione dei dati.
Il GP del Qatar, su un tracciato particolarmente sfidante su fronte aero-meccanico, ha messo a nudo tutti i limiti della monoposto di Maranello: mancanza di aderenza al posteriore, sottosterzo marcato a metà curva e un comportamento profondamente diverso a seconda del tipo di velocità. Per Hamilton, reduce da un sabato disastroso senza accesso nelle Q2 della qualifica sprint e di quella canonica, la SF-25 è apparsa “non piantata”: un’auto che scivola, si scompone, reagisce con ritardo oppure troppo bruscamente. In sostanza, un telaio che non comunica e un’aerodinamica che non rimane in finestra operativa.

L’episodio della sprint è stato ancora più istruttivo. Partire dalla pit lane non è stata una scelta tecnica marginale, ma un gesto di disperazione metodica: provare, in gara, assetti trovati poche ore prima al simulatore pur di raccogliere una controprova reale. Il fatto che quel pacchetto di cambiamenti si sia rivelato “nella direzione sbagliata” non è un dettaglio: è la spia di una correlazione traballante. Significa che ciò che la galleria del vento, il CFD e il simulatore suggeriscono non si manifesta in pista con la coerenza necessaria in una F1 che ormai si decide quasi interamente davanti agli schermi, molto prima che sull’asfalto.
Ferrari: perdita di correlazione simulatore – pista
Ed è proprio qui che il Qatar diventa un punto critico nella lettura del 2026. C’è stata una mancata correlazione simulatore – pista. Una tale perdita, in una fase di regolamenti stabili come quella attuale, è grave ma gestibile; in una fase di stravolgimento regolamentare totale come quella in arrivo, potrebbe diventare fatale.
Nel 2026 cambieranno telaio, aerodinamica, concetto di carico, gestione del flusso, propulsori e gestioni dell’elettrico e architettura generale della vettura. Il margine di errore si stringerà a livelli minimi, e chi sbaglierà a interpretare i numeri nel passaggio tra simulazione e realtà potrà ritrovarsi con un progetto nato già fuori dalla finestra ideale di setup.
Il primo test del 2026, a Barcellona, sarà a porte chiuse. È un dettaglio che ha un certo peso: il mondo esterno non vedrà nulla fino ai test del Bahrain e poi all’Australia, mentre internamente le squadre si giocheranno gran parte della verità tecnica del nuovo ciclo. Se Ferrari dovesse arrivare a quel momento con una piattaforma che reagisce male ai cambiamenti, una vettura sensibile agli spostamenti di assetto e un simulatore che non “legge” ciò che accade in pista, sarebbe un gran bel problema, una gatta da pelare di proporzioni ciclopiche.
Un’auto poco stabile significa una monoposto che non può essere sfruttata al limite, ma una vettura non correlata significa un’auto che non può essere sviluppata in modo logico e progressivo. E in un contesto come quello del 2026, lo sviluppo diventerà il vero campo di battaglia.
Per questo il Qatar non va letto come un semplice fine settimana storto. Va gestito come un potenziale sintomo strutturale. La stagione 2025 ha mostrato più volte come Hamilton (che a Lusail ha lamentato che le cose provate in fabbrica non hanno funzionato in pista) abbia vissuto sbalzi di performance improvvisi tra venerdì e sabato. Il continuo ricorso a soluzioni provvisorie o a esperimenti forzati amplifica il sospetto che il problema non sia sporadico, bensì sistemico. Un simulatore che “dice una cosa” mentre l’asfalto “ne dice un’altra” è la peggior base possibile per affrontare una rivoluzione tecnica.

Se queste difficoltà fossero confermate nel prossimo futuro, Ferrari non avrebbe più margine per tergiversare: dovrebbe intervenire immediatamente sulla filiera correlativa tra simulatore, galleria e pista, perché nella Formula 1 moderna la precisione dei modelli virtuali è la vera moneta competitiva. Leclerc e Hamilton possono sopportare classifiche modeste a fine 2025, ma ciò che non può permettersi la Scuderia è entrare nel 2026 con le stesse fragilità concettuali.
In un campionato di Formula 1 sempre più simulativo e in cui i test in pista sono centellinati e pesantemente normati, i problemi di correlazione non sono un fastidio: sono un pericolo strategico. E se la prestazione di Lusail non è stata un’eccezione ma una conferma, allora sì: c’è davvero da preoccuparsi. Ferrari non è in tensione, sa che si è trattato di un “evento spot”. Ma il campanello d’allarme è suonato e bisogna spegnerlo prima che queste crepe possano aprirsi in spaventose e condizionanti voragini.
Illustrazione: Chiara Avanzo per Formulacritica
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
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