Si chiarisca un punto prima di procedere nella stesura di questo pezzo. Non esiste nessun comunicato ufficiale della Scuderia Ferrari che accusi un giornalista o che lo ritenga reo di aver cagionato problemi alla causa rossa. Quindi non si accusa il glorioso tema di fare una caccia alle streghe. Fatta questa doverosa e deontologica premessa c’è da registrare una tendenza nemmeno troppo strisciante di alcuni tesserati di Maranello nell’additare gli addetti all’informazione, rei di avvelenare i pozzi. Il primo è stato Fred Vasseur che sosteneva che parte della stampa cisalpina lanciasse materiale organico (avete capito a cosa ci riferiamo) sul team. Recentemente è toccato a Lewis Hamilton bacchettare i professionisti dell’informazione.
Ormai è quasi un riflesso condizionato, un impeto ormai prevedibile, che si attiva ogni volta che il Cavallino Rampante vive una stagione deludente: la responsabilità viene spostata altrove. Mai verso l’interno, mai verso chi prende decisioni sbagliate, mai verso chi guida un progetto tecnico che non funziona. No: la colpa, a sentire alcuni di loro, sarebbe della stampa. Di chi racconta. Di chi analizza. Di chi critica.

Nei giorni scorsi, come anticipato in apertura, Lewis Hamilton ha aggiunto un nuovo capitolo a questa narrativa, con parole che hanno fatto molto discutere. Ha detto: “Penso che sia duro per tutti i meccanici, gli ingegneri e per tutti quelli in fabbrica. Loro danno il massimo. C’è una negatività costante da parte dei media che li colpisce. Loro tornano a casa dalla moglie e la moglie osserva: ‘Hanno detto questo sui tuoi colleghi’ e sono sicuro che per loro così è dura. E anche con i figli. C’è un effetto enorme su tante persone”.
Osservazioni che, da un lato, mostrano il tentativo umano di difendere il gruppo. Ma dall’altro si inseriscono perfettamente in una linea difensiva già ascoltata più volte, e non per caso. Questa tesi non è nuova. A fine estate Frédéric Vasseur aveva detto esattamente la stessa cosa: secondo lui la stampa italiana sobilla, crea un clima negativo, amplifica ogni difficoltà e non aiuta la squadra a lavorare con serenità. È una narrazione comoda, certo. Talmente comoda da diventare una scorciatoia per auto-assolversi: se la stampa è cattiva, allora il problema non è la macchina che non migliora; se i media sono negativi, allora non si deve discutere delle strategie fallite; se il contesto è tossico, allora nessuno deve rispondere dei propri errori.
Ma la verità è molto più semplice, e qualcuno deve iniziare a dirla senza girarci intorno: la stampa non ha mai perso un Mondiale. La Ferrari sì. I media non progettano un telaio disfunzionale, non sbagliano il bilanciamento aerodinamico, non scelgono aggiornamenti inefficaci. Nessun editoriale manda in crisi il simulatore, nessun titolo di giornale decide le strategie al muretto, nessuna analisi tecnica provoca un pit-stop da cinque secondi. La stampa è uno specchio: riflette ciò che vede. Se il riflesso è poco lusinghiero, il problema non è lo specchio.
Il giornalismo critico non è un attacco: è una necessità. È un pungolo, non un sabotaggio. E soprattutto è un atto d’amore verso una squadra che ha fatto la storia e che merita standard più alti di quelli a cui si è tristemente abituata.

Dire che la stampa crea un clima negativo è una forma elegante di autoassoluzione. È un modo per spostare l’attenzione, per rinviare l’analisi, per posticipare la responsabilità. Ma non funziona. Perché chi vive davvero la Ferrari – i tifosi, gli addetti ai lavori, gli appassionati – sa perfettamente che la negatività non nasce dai commenti, ma dai risultati.
E la cosa più ironica è che proprio la Ferrari, nella sua storia, ha sempre costruito momenti straordinari quando ha saputo guardarsi dentro senza cercare alibi fuori. Lo ha fatto con Todt e Schumacher. Mai con la paranoia del “ce l’hanno tutti con noi”. La verità è questa: i media non distruggono la Ferrari. La Ferrari si distrugge da sola quando rifiuta la critica, quando demonizza la stampa, quando preferisce una narrazione vittimistica alla responsabilità.
E allora diciamolo chiaramente: chi critica la Ferrari non la odia. Odia vederla così. E continuerà a raccontarlo finché qualcuno, a Maranello, avrà il coraggio di guardare nella direzione giusta. Che non è verso i giornali.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
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Buongiorno, a chi legge la rubrica e vi lavora.
Da Tifoso Ferrari vorrei scrivere dichiaratamente almeno in questa occasione e quindi da lettore nel tempo di articoli che la riguardano.
Bisogna avere una certa età per avere una consapevolezza che spiegasse al di là del mito cosa sia il nome Ferrari, e rappresenta veramente.
Quando si leggono articoli contro fanno male come i risultati mancanti sportivi della stessa Ferrari.
Eppure bisogna sapere distinguere e voglio fare un plauso sincero e non una sviolinata opportunista al Direttore cosi lo considero di questo spazio critico. Assolutamente meritato perché è diventato difficile dappertutto, leggere o ascoltare parole che non siano viziate da spinte potenti sulle quali non c’è deontologia che tiene. Quando esiste allora il plauso è meritato, poiché diventa eccezione.
Si auspica un giornalismo libero ed indipendente nel mondo intero.
Tornando alla Ferrari essa è cosa diversa dall’epoca in cui era Enzo Ferrari a fare e decidere. Egli, lo ricordava un celebre Direttore della più famosa testata giornalistica settimanale, era a proteggere sempre e comunque la Ferrari e ci mancherebbe.
Oggi le cose sono cambiate, le responsabilità delle conseguenze in gran parte delle decisioni prese in passato in modo apicale, hanno portato al presente, di un colore affatto rosso.
Quindi le critiche sono giuste e al Direttore Diego Catalano, semplicemente grazie.
Cordialmente.
Feedback graditissimo. Grazie mille per l’apprezzamento e per il tempo dedicato alla lettura