La stagione 2026 segna una trasformazione profonda della Formula 1: aerodinamica attiva anteriore e posteriore, nuove Power Unit e regole nate per reimpostare gerarchie e sviluppo. In questo contesto si impone una domanda scomoda ma strategica: perché, per la reale rinascita della Ferrari, il 2026 dovrebbe essere un disastro totale? Questa analisi espone i motivi tecnici, organizzativi e culturali per cui un fallimento senza appello potrebbe essere l’unica condizione capace di scatenare una riforma radicale e credibile.
Cosa ha insegnato l’era delle wing car sulla fragilità strutturale della Ferrari?
L’esperienza delle monoposto effetto suolo ha evidenziato un punto semplice ma drammatico: la competitività non dipende solo da una singola vettura buona, ma da un sistema di sviluppo integrato tecnico, gestionale e culturale. Dopo una fase iniziale brillante con la F1-75, Ferrari ha mostrato che:
- anche successi di breve periodo non garantiscono continuità;
- un modello organizzativo debole fallisce quando le condizioni esterne si ribaltano;
- decisioni di vertice e processi interni possono neutralizzare anche eccellenti progetti tecnici.
Questa fragilità è strutturale: non si cura con aggiustamenti tattici, ma con una ristrutturazione di ampia portata che va ben oltre la pista.
Perché un buon inizio nel 2026 sarebbe dannoso anziché salvifico?
Un avvio positivo del 2026, per esempio un risultato eclatante nelle prime gare, creerebbe un effetto consolatorio che bloccherebbe i processi di cambiamento realmente necessari. I meccanismi psicologici e organizzativi in azione sarebbero i seguenti:
- i risultati immediati riducono la pressione politica per la riforma;
- la dirigenza riceverebbe una giustificazione pubblica per mantenere lo status quo;
- la percezione esterna e interna di “non dover cambiare tutto” renderebbe impossibile l’attuazione di misure radicali.
In sostanza, un successo temporaneo creerebbe l’alibi per non intervenire sulla radice dei problemi.
Quali shock servono per attivare una vera rivoluzione interna?
Per avviare una trasformazione credibile e duratura servono fattori scatenanti che rendano ineludibile il cambiamento. Un disastro sportivo di ampia portata produce esattamente questo:
- legittima l’analisi senza filtri: la pressione esterna e interna costringe a una valutazione totale;
- spezza i legami di protezione interna che spesso preservano figure inefficienti;
- crea spazio politico per decisioni impopolari ma necessarie (cambio di vertici, nuove strategie);
- attiva la mobilitazione di capitali e talenti per una ricostruzione sistemica, perché il fallimento espone la necessità di investimenti radicali.
Solo un fallimento incontrovertibile può rimuovere i vincoli psicologici e organizzativi che oggi impediscono la rivoluzione vera e propria.
Cosa significa “ricostruzione totale” per Ferrari?
La ricostruzione non è mera sostituzione di volti. È una riprogettazione strategica e culturale che include:
- rinnovo profondo delle leadership con responsabilità chiare e meccanismi di accountability;
- revisione della GES e del modello di governance;
- trasformazione della cultura tecnica verso meritocrazia, rapidità di sviluppo e meno interessi interni;
- ripensamento delle priorità tecnico-commerciali (Power Unit, sviluppo aero, pipeline giovani talenti);
Queste misure richiedono condizioni che rendano politicamente possibili scelte drastiche; condizioni che un successo parziale non genererebbe.
Non è rischioso puntare sul disastro come catalizzatore di cambiamento?
Sì, è un ragionamento controintuitivo e rischioso. Tuttavia, sulla base delle dinamiche osservate negli ultimi anni, le alternative mostrano limiti concreti:
- evitare il rischio mantenendo il modello attuale porta a cicli di miglioramento temporaneo e ricaduta strutturale;
- le riforme parziali sono state tentate più volte senza esiti duraturi;
- uno shock terminale è disastroso nel breve, ma politicamente efficace nel lungo: abilita cambiamenti che altrimenti resterebbero bloccati.
La scelta è tra una dolorosa ricostruzione imposta da un fallimento o una carriera di mediocrità con sporadiche glorie temporanee.
Che ruolo possono avere tifosi, media e stakeholder?
Questa trasformazione non può essere solo interna. Perché la ricostruzione abbia forza, serve:
- reale pressione qualificata da parte dei media per mantenere alta la trasparenza e non proporre la palese lecchinaggine mirata esclusivamente alla ricerca di un posto a tavola per il pranzo di Natale;
- aspettative realistiche dai tifosi, che riconoscano la necessità di una fase di ricostruzione;
- supporto degli sponsor per progetti di medio-lungo termine, non misurati solo sui risultati immediati e di facciata.
Solo un ecosistema che comprenda il senso della riforma può sostenere scelte politicamente costose ma tecnicamente necessarie.
Il paradosso strategico della rinascita Ferrari
La Ferrari si trova oggi davanti a un bivio: continuare a rincorrere riparazioni di facciata e sperare in rimonte episodiche, oppure accettare la necessità di uno shock rigeneratore. Per rimuovere i vincoli culturali e di governance che bloccano la vera evoluzione, è politicamente più probabile che serva un 2026 disastroso, non perché il disastro sia desiderabile in sé, ma perché solo esso può creare le condizioni per una ricostruzione radicale, credibile e duratura.
È un ragionamento amaro ma realistico: la rinascita richiede più che buoni weekend in pista; richiede la rottura controllata del sistema che ha prodotto gli stessi errori per anni.
Forza fallimento.
Crediti foto: Scuderia Ferrari





