Fernando Alonso appartiene a quella ristretta categoria di piloti che non si misurano solo in numeri o trofei, ma nell’impronta che lasciano. È una presenza che attraversa epoche, una mente che va oltre la macchina e un talento che spesso ha avuto bisogno di più di un cronometro per essere compreso. Eppure, come accade ai più grandi, la cifra non è sempre sinonimo di completezza.
Le parole di Adrian Newey su Ayrton Senna – e il parallelo inevitabile con Max Verstappen – fanno scattare una riflessione: nella storia della Formula 1 esistono uomini che sembrano nati per capire prima degli altri. Alonso è uno di questi. Come Senna, è sempre stato attratto dal “perché” delle cose, dal meccanismo invisibile che regge la performance. L’asturiano non guida soltanto, interpreta. Capisce il linguaggio della macchina, ne decifra i limiti, cerca soluzioni là dove gli altri vedono ostacoli. È forse per questo che, a 44 anni, continua a rappresentare un’anomalia vivente nel paddock.

Fernando Alonso: una carriera non sbocciata del tutto
Eppure la sua carriera, osservata in prospettiva, resta sospesa tra ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto essere. Due titoli mondiali consecutivi con la Renault non raccontano tutto. Non raccontano, ad esempio, quanto vicino sia stato al trionfo con Ferrari nel 2010 e nel 2012, né quanto talento abbia disperso in progetti tecnici nati già zoppicanti, come quello della McLaren delle stagioni travagliate con Honda. Se la Formula 1 fosse un racconto di coerenza e destino, Alonso sarebbe un protagonista tragico: un genio condannato a lottare con il tempo, le scelte e, talvolta, con la fortuna. Che non l’hai mai supportato più di tanto.
Oggi, in Aston Martin, Fernando vive una fase nuova ma paradossalmente coerente con il suo percorso. L’inizio della partnership con la squadra inglese aveva alimentato la suggestione di una rinascita, con podi, leadership e un gruppo tecnico in crescita. Poi, la realtà ha presentato il conto: la vettura 2024 ha mostrato limiti strutturali e la distanza dai top team è tornata a farsi pesante. Stessa dinamica si è consumata in questo morente 2025. Ma Nando non è mai stato il tipo da arrendersi alla logica. Ogni volta che sale in macchina, la sua ossessione per il dettaglio diventa strumento di resistenza.

Nel confronto con Senna e Verstappen – evocato da Newey – l’asturiano rappresenta una terza via: non l’esplosione pura del talento, né l’esattezza chirurgica del dominio moderno, ma la sopravvivenza del “pilota-artigiano” in un mondo di algoritmi e analisi computazionali. Forse è proprio questa la sua eredità più grande: aver dimostrato che la velocità, da sola, non basta a definire un campione. Serve coscienza, intelligenza, visione.
Fernando Alonso non ha raccolto tutto ciò che avrebbe meritato, ma ha costruito qualcosa che pochi potranno mai replicare: una carriera che attraversa vent’anni di Formula 1 e li tiene insieme con il filo della competenza, dell’istinto e della passione assoluta. In un’epoca che premia l’efficienza, lui resta un romantico della velocità. E forse è proprio per questo che continua a essere, ancora oggi, uno dei più grandi di sempre. E chissù che Newey possa regalargli, con una macchina all’altezza, quel terzo alloro che completerebbe la sua rincorsa verso la gloria.
Crediti foto: Aston Martin, McLaren
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