Big John: l’eroe dei due mondi

Sette anni fa se ne andava John Norman Surtees, un caso unico nella storia del motorsport. Ripercorriamo la sua straordinaria epopea

Quando non capisci il motivo per cui sei caduto, è giunto il momento di ritirarti“. Questa  è una delle frasi più celebri ascrivibili a “L’eroe dei due mondi“, John Norman Surtees. La caduta: un momento topico nella vita sportiva di ogni centauro, un concetto che sublima l’atto del crollare e del risorgere.

Surtees, nella sua peculiarissima carriera, è caduto e si è rialzato decine di volte. E proprio questa attitudine ha fatto sì che l’inglese sviluppasse una dote che gli ha consentito, negli anni, di diventare un caso unico nel mondo dei motori.

Surtees nasce e si afferma come pilota di due ruote. E non sarà un semplice interprete, né un modesto mestierante. JS, acronimato per comodità ma con estremo rispetto, è un monolite della storia del motociclismo, in virtù di un’esperienza breve ma brillantissima. E soprattutto costellata di record. Il britannico di Tatsfield debuttò nel 1952, appena diciottenne, nella classe 500 che all’epoca era la categoria regina.

E’ il sellino di una Norton che accoglie il giovane John che avrà il suo battesimo dell’asfalto sul circuito del Clady, nel Gran Premio dell’Ulster, sesta tappa di un mondiale dominato da Enrico Lorenzetti su Moto Guzzi. All’esordio, il novello Surtees, attirò su di sé gli sguardi interessati degli addetti ai lavori grazie ad un ottimo ed impronosticabile sesto posto.

“Big John” non impiegò molto a vincere la sua prima gara. Dopo appena tre anni, nella classe 350, riuscì ad imporsi proprio sulla pista sulla quale aveva debuttato, alla guida di una NSU Motorenswerke. Le prestazioni di un pilota ormai strutturato e competitivo non passarono inosservate e fu la MV Augusta a farsi a vanti e a cercare di ingaggiare il talento inglese. Detto fatto: dal 1956 al 1960 Surtees gareggiò per la gloriosa casa italiana vincendo tutto ciò che si poteva vincere, entrando, così, nell’olimpo del motomondiale.

John Surtees
John Surtees in versione centauro

Cinque stagioni epiche, irripetibili, che hanno definitivamente segnato la storia professionale di Surtees: 4 i mondiali vinti nella classe regina (1956, 1958, 1959, 1960), tre nella categoria 350 (1958, 1959, 1960). No, non abbiamo commesso un errore nello stilare le date. Gli anni ’50 sono stati un’era impareggiabile e straordinaria: i centauri cambiavano categoria con estrema duttilità. Spesso, ancora, correvano negli stessi week end di gara in due serie diverse. Ed è proprio questo il caso di John Surtees, autentico capostipite di una pletora di interpreti votati all’estrema malleabilità tecnica.

Lo si vedeva, infatti, spesso affannarsi per raggiungere – ancora con la corona d’alloro al collo per la vittoria nella 35o –  il box dove lo aspettava l’Augusta 500. Ancora sporco di carburanti combusti che si mescolavano allo champagne spruzzato sul podio, John saliva in sella e, con regolarità imbarazzante, bastonava la concorrenza con prestazioni che sembravano irrealizzabili. Un alieno.

E’ il 1959 l’anno nel quale John sale agli altari della fama eterna: il centauro si impone in tutti i gran premi sia della classe 350 sia della 500. E’ gloria imperitura: primo e unico driver a centrare un obiettivo di siffatta portata.  Agli avversari non resta che osservare dal basso una stella che brillerà per sempre nel firmamento del motorsport.

Ma è proprio dall’irripetibile stagione 1959 che qualcosa cambia nella percezione del britannico. Nonostante replicherà, nel 1960, la doppietta 350 -500 (stavolta non ripeterà l’en plein di vittorie nei singoli gp),  Surtees è insoddisfatto dall’ambiente. Anche perchè si moltiplicano gli sguardi di invidia dei suoi colleghi evidentemente impotenti nei confronti del suo strapotere.

La ricerca di nuovi stimoli porta Surtees su altri lidi sportivi. Il tarlo delle quattro ruote scava un piccolo cunicolo nella testa del pilota che decide di abbandonare le due ruote. Le ambizioni vincono sulla parte razionale, la strada si spiana verso le vetture da formula.

Qual è la molla che scatta nella mente di chi, in cinque anni, aveva trionfato in 38 gare su 49 disputate? Un driver capace di andare ben 45 volte a podio, uno che non ha guardato la folla adorante dai quei magici tre gradini solo 4 volte in cinque anni. Coraggio e umiltà. Queste le due forze che spinsero Big John, a 26 anni, a mandare alla malora il mondo che l’aveva svezzato, cresciuto e reso mito.

Poteva un personaggio del genere entrare dalla porta laterale? Certo che no! Surtees decise, con un ingresso fragoroso e in magna pompa, che avrebbe debuttato direttamente nella massima categoria del motorsport sfidando campioni affermati, vere e proprie bestie feroci che rispondevano al nome di Sir Stirling Moss (il “Re senza corona”, dall’alto dei sui 16 gp vinti che non lo portarono mai al titolo iridato), Wolfgang Von Trips, Bruce McLaren, Phil Hill, Jack Brabham.

E così fu che Surtees fece capolino al Gran Premio di Mosca del 1960 al volante di una Lotus: un figlio di Albione sulla vettura inglese per definizione. Il debutto non fu felicissimo: Big John dovette ritirarsi per un guasto tecnico. Ma non ci volle molto per ottenere risultati rimarchevoli. Stessa stagione, pubblico di casa, Surtees ottiene uno strabiliante secondo posto partendo dall’undicesima piazza. Al termine di 77 tiratissimi giri, il campione del mondo in carica delle classi 350 e 500 del motomondiale si era inchinato al solo Jack Brabham, un veterano della F1.

Le prestazioni di un pilota tanto acerbo quanto maledettamente veloce e concreto non sfuggirono ad un osservatore scafato e competente quale era Enzo Ferrari. Il Drake in persona, come da abitudine, alzò la cornetta e, in un impeto d’amore (uno dei tanti), corteggiò il pilota che declinò la proposta di contratto del team Maranello. I motivi di questa decisione non sono noti, ma probabilmente Surtees preferiva perfezionarsi prima di giocarsi l’occasione della vita. E così fu.

Dopo un’ulteriore stagione di apprendistato alla Lotus, Big John decise che l’ora era arrivata: si lasciò ammaliare dalle lusinghe di Ferrari ed abbracciò il rosso, nel 1962. Due stagioni di rodaggio per un matrimonio che si rivelò vincente e che diede frutti dolcissimi. Nel 1964, forte di due gran premi vinti  su un totale di dieci in calendario, Surtees si aggiudicò il mondiale di F1 entrando nella leggenda e diventando per sempre “L’Eroe dei due mondi”. Unico driver ad aver unito con un’immaginario ponte il mondo delle due e delle quattro ruote.

Il 1964 sancisce la nascita di un mito che tutt’ora resiste e che, con ogni probabilità, non potrà mai essere intaccato. Il motorsport odierno, figlio di dinamiche commerciali ed agonistiche del tutto diverse, sicuramente meno genuine, mai consentirebbe un travaso tra due ambienti così distanti tra loro.


Autore: Diego Catalano @diegocat1977

Crediti foto: F1

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