Il giorno dopo un gran premio, specie quando questo si è già consumato alle 8:30 del mattino, è sempre difficile trovare argomenti di cui dibattere. Nei consueti giri tra le testate online, procedura piuttosto normale che fanno tutti, mi sono imbattuto in uno scritto di Roberto Chinchero per Motorsport. Il titolo ha incuriosito e non ho esitato a cliccarlo per leggerlo, imparando qualcosa di nuovo, il che è sempre positivo per crescere e per offrire un prodotto sempre migliore alle lettrici e ai lettori.
Nello scritto si legge che la Red Bull si è affidata a Rudy Van Buren per rifare l’assetto della RB21 dopo le libere del venerdì. Parliamo di un pilota che opera al simulatore di Milton Keynes – e fin qua nulla di anomalo – ma che di pilotaggio di vetture di Formula Uno è completamente all’asciutto. Van Buren non è andato oltre il karting per poi lanciarsi nel mondo dell’e-sport. In questo contesto ha iniziato la collaborazione con Verstappen con cui corre nel team Redline. Da lì, l’approdo al simulatore del team di Formula 1 è stato quasi un passo naturale.
Questa storia racconta di una Formula Uno profondamente mutata negli ultimi anni. Un tempo era inimmaginabile che un pilota che non avesse mai messo piede su una vettura della massima serie fosse chiamato a deliberare il setup del mezzo tra una sessione e l’altra. Le squadre test, quelle che un tempo erano un comparto di vitale importanza per ogni squadra, sono state potenziate fino a essere rese inutili dalla parabola tracciata dai legislatori che hanno inteso virtualizzare sempre di più la categoria.

Così, passo dopo passo, limitazione dopo limitazione, si è definita una Formula 1 in cui i test privati sono ridotti alle sparute sessioni precampionato, ai cosiddetti filming day e alle sessioni concesse per testare le gomme del futuro o quelle previste con le vetture degli anni precedenti (TPC, acronimo di test previous cars). Il titolo di questo editoriale è forte, ma non intende essere offensivo per i nuovi professionisti del volante virtuale anche se fisico (sembra un ossimoro, me ne avvedo) che, come dimostra il racconto nell’incipit, servono eccome per far funzionare il meccanismo.
Non me ne vogliano i sim racer, non è una crociata contro di loro. Anzi, questo scritto dimostra quanto oggi siano necessari per estrarre prestazioni dalle vetture e per creare quel contesto operativo sano che i driver ufficiali possono sfruttare per massimizzare le performance.
Ma che non possano farlo i conducenti titolari, o quelli che un tempo si chiamavano collaudatori, mette un po’ di tristezza. I tempi cambiano, la tecnologia corre veloce, ma permettetemi di esprimere un pizzico di nostalgia per un motorsport “romantico” che purtroppo è un ricordo che tende inesorabilmente a sbiadire.