F1 – Si dibatte spesso sul ruolo del pilota, sulla sua capacità di orientare lo sviluppo di una monoposto o di determinare le strategie di gara. Col passare degli anni, la quota di importanza del driver è andata scemando sempre più, un po’ per le continue limitazioni ai test in pista, un po’ perché è cresciuta l’importanza della precisione degli strumenti simulativi e predittivi.
Quel Niki Lauda che entrava per la prima volta in Ferrari e rigirava come un calzino la vettura dopo averla testata in pista resta un ricordo lontano, esaltato dalle pellicole cinematografiche. Oggigiorno è molto più complesso per un professionista offrire feedback capaci di impostare la linea evolutiva di una determinata monoposto.
La sensibilità del driver è intatta, ma gli strumenti che raccolgono dati impercettibili per l’uomo – ma decisivi per la messa a punto del mezzo meccanico – sono così tanti che gli ingegneri tendono ad affidarsi più a questi che alle impressioni di chi si cala nell’abitacolo.

Tuttavia, esiste ancora un ambito nel quale la sensibilità del pilota ha una valenza imprescindibile. E ciò accade tanto più quando anche chi dovrebbe avere elementi conoscitivi non riesce a capire il prodotto che egli stesso concepisce, costruisce e fornisce. Il riferimento è alla Pirelli e alle gomme che dà ai team.
Nell’arco del campionato del mondo 2024, più volte le previsioni strategiche del gommista italiano sono state smentite dalla “prassi pistaiola”. Gare preconizzate a due stop si sono tramutate in Gran Premi a sosta singola; viceversa, eventi che si teorizzava dovessero favorire i “single stopper” si sono trasformati in qualcosa di diverso e più spezzettato.
F1: il pilota incide ancora nella gestione delle gomme
Ricorderete la vittoria – poi “mozzata” – di George Russell a Spa-Francorchamps o quella di Monza di Charles Leclerc: gare dominate grazie all’intuizione del pilota che, a un certo punto, ha imposto al muretto, luogo pieno di cervelli e strumenti computazionali, di andare avanti contro le risultanze di calcoli complessi e apparentemente dogmatici.
Se c’è una fattispecie in cui il pilota odierno può ancora incidere e determinare, è proprio nella gestione degli pneumatici. Nei team radio, che ormai siamo abituati a sentire e analizzare, riscontriamo che l’interlocuzione è tendenzialmente unidirezionale, anche se cambia fonte d’origine in base all’oggetto della comunicazione. Quando si tratta di mappatura motore, di ripartizione della frenata e altri parametri tecnici, è l’ingegnere a istruire: il pilota viene pilotato. Sembra un ossimoro, ma è così.
Viceversa, soprattutto in gara, il flusso di informazioni cambia radicalmente direzione: dal muretto al pilota passa da quest’ultimo agli ingegneri. Attenzione, non si tratta di un meccanismo che si alimenta all’infinito o che può verificarsi con chiunque dei 20 driver. Serve altro, è necessario trovare il conducente che abbia la giusta dose d’esperienza per renderlo concreto.

Non a caso, lo abbiamo visto fare a piloti con un certo numero di gare sulle spalle, e forse è anche questa la ragione per cui la Ferrari ha scelto di puntare sull’esperienza di Lewis Hamilton, uno che nella gestione delle copertura e nella valutazione corsaiola delle stesse è cattedratico, in barba a ogni critica sulla presunta infondatezza tecnica dell’operazione.
Per il 2025, Pirelli conta di introdurre gomme meno complesse da usare o, quanto meno, più semplici da prevedere nel comportamento. Verrà immessa anche una mescola più morbida da usare in piste come Montecarlo, proprio per indurre a una maggiore varietà strategica ed evitare gare soporifere che si chiudono dopo la prima curva del primo giro. E chissà che in questo contesto il ruolo del “pilota-interprete” non ne esca ancora più rafforzato: un aspetto che sarebbe da prendere come oro colato in una Formula 1 sempre più prevedibile.
Crediti foto: Mercedes-AMG Petronas F1 Team, Scuderia Ferrari