Quest’anno Lando Norris si è laureato campione del mondo di F1 in una lotta per il titolo che, dopo il suo ritiro negli ultimi giri del Gran Premio d’Olanda, sembrava ormai indirizzata verso il compagno di squadra Oscar Piastri. Dopo i fatti di Zandvoort, l’inglese ha rimontato senza dar tregua al collega di garage, fino a quando ha visto il suo nome inciso nell’albo d’oro con l’australiano caduto in una crisi che lo ha fatto scivolare dal primo al terzo posto in classifica generale.
Tanto si è discusso sulla spirale negativa di Piastri, ma una delle motivazioni che hanno trovato più sostegno in giro è il classico mantra di Fernando Alonso, memore del 2007, quando era compagno di team di Lewis Hamilton: “scuderia inglese favorisce il pilota inglese”. Insomma, il successo di Norris sarebbe dettato solo dalla sua nazionalità. Questa idea non proviene solo dall’Australia, ma anche da noi italiani, sempre poco teneri verso il team di Woking. Ma davvero la McLaren favorisce gli inglesi?

McLaren, una scuderia molto inglese
Il team britannico è presente in Formula 1 dal 1966 ed è la seconda franchigia più vecchia in griglia dopo la Ferrari. In quasi 60 anni di storia ben 14 piloti inglesi hanno guidato le sue monoposto e, volendo allargare a quelli provenienti dalle isole britanniche, il computo sale a 16 aggiungendo quindi il nordirlandese John Watson e lo scozzese David Coulthard.
Dalla prima vittoria del campione del mondo James Hunt, al Gran Premio di Spagna del 1976, fino a quella del Gran Premio del Brasile di Norris di quest’anno, i piloti al servizio di Sua Maestà hanno totalizzato ben 65 vittorie sulle 203 totali, quasi un terzo dei trionfi del team britannico. Lewis Hamilton è il primo in questa classifica con ben 21 trionfi.
Con la conquista del titolo da parte di Norris, la scuderia di Woking può vantare ben 3 piloti connazionali ad esser diventanti campioni del mondo: i già citati, Hunt, Hamilton e Norris.

Se per gli inglesi guidare per la McLaren è realtà, per gli italiani guidare per la Ferrari in F1 è un sogno
La Ferrari è la più vecchia e gloriosa scuderia in F1 e per noi italiani equivale ad una vera e propria nazionale. Un team in cui, per un motivo o per un altro, proprio gli italiani non riescono a trovare spazio. Per il gruppo di Maranello, dal 1950 fino ad oggi, solo 24 conducenti cisalpini hanno avuto l’onore di guidare. I primi furono Luigi Villoresi ed Alberto Ascari al Gran Premio di Monaco del 1950, l’ultimo invece è stato Giancarlo Fisichella, al Gran Premio di Abu Dhabi, nel 2009.
Ma, a differenza della McLaren, il bottino di vittorie è molto più misero. Se Woking può vantare 65 vittorie e 3 campioni del mondo britannici, la Ferrari ha solo 22 trionfi italiani (poco meno del 9% del totale). Alberto Ascari, l’unico campione del mondo di F1 italiano con due titoli conquistati con il Cavallino Rampante, detiene anche il record delle vittorie tricolore della Rossa: ben 13, oltre la metà dei successi italiani della scuderia di Maranello.
Per trovare l’ultimo pilota tricolore ad aver vinto un Gran Premio con la Ferrari, bisogna tornare indietro di ben 40 anni al Gran Premio di Germania al Nürburgring del 1985, dove Michele Alboreto colse la sua quinta ed ultima vittoria nella massima categoria.

Perché per una volta non imitiamo la McLaren invece di criticarla?
Quando diciamo “la scuderia inglese favorisce sempre il pilota inglese”, con quell’aria di critica snob, cosa cerchiamo di ottenere? Saranno problemi della McLaren se vuol favorire un suo pilota connazionale rimasto fedele alla causa come Norris (ammesso sia vero). Ma piuttosto che criticarla, perché non proviamo ad imitarla invece? Ad oggi i piloti italiani ferraristi primeggiano nel WEC. Antonio Fuoco, Antonio Giovinazzi ed Alessandro Pier Guidi non hanno mai avuto una chance di correre in F1 con la Rossa, al massimo si sono dovuti accontentare di una presenza nella prima sessione di prove libere per i piloti di riserva.
La Mercedes, oggi, ha un italiano tra le sue fila: Andrea Kimi Antonelli da Bologna. “L’odiata” McLaren ha preso sotto alla sua ala ben due piloti italiani: Brando Badoer, figlio dell’amatissimo collaudatore della Rossa di fine anni ’90 e primi 2000 Luca Badoer, e l’ultimo campione della F2, Leonardo Fornaroli, emiliano come Antonelli (di Piacenza, ndr).
Piuttosto che fare gli esterofili diamo una possibilità ai nostri connazionali evitando di “relegarli” al WEC, campionato rispettabilissimo e di grande blasone ma sicuramente meno rappresentato in giro per il mondo rispetto alla F1. Se gli altri – inglesi, tedeschi e via citando – puntano sugli italiani, perché la Ferrari non è capace di farlo? Tutti noi, un giorno, vorremmo leggere o sentirci dire “una scuderia italiana che favorisce il pilota italiano”. Sarebbe una bella cosa. O no?
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Crediti foto: Getty Images, Ferrari



