Liberty Media: quale impatto sulla F1 dopo sette anni?

Dopo sette anni di gestione Liberty Media a che punto è la F1? I programmi del colosso dell'intrattenimento sono stati rispettati? Scopriamolo.

“Sono orgoglioso del business che ho costruito negli ultimi 40 anni e di tutto ciò che ho raggiunto con la F1. Vorrei ringraziare tutti i promotori, i team, gli sponsor e le società televisive con cui ho lavorato“. Con queste parole, il 23 gennaio del 2017, Bernie Ecclestone annunciava di aver venduto per otto miliardi di dollari il suo pacchetto azionario agli americani di Liberty Media Corporation.

Sono molto contento che l’azienda sia stata acquisita da Liberty – proseguiva il comunicato – e che questa intenda investire nel futuro della F1. Sono sicuro che Chase [Carey] svolgerà il suo ruolo in un modo che andrà a beneficio dello sport“.

Quest’ultimo replicava così alle parole del manager inglese: “La F1 ha un enorme potenziale con molteplici opportunità non sfruttate. Mi è piaciuto ascoltare i fan, le squadre, la FIA, i promotori e gli sponsor sulle loro idee e speranze per questo sport. Lavoreremo con tutti questi partner per migliorare l’esperienza di gara e aggiungere nuove dimensioni allo sport e non vediamo l’ora di condividere questi piani nel tempo“.

Molta acqua è passata sotto i ponti in sette anni. Tanti i cambiamenti effettuati e molti altri in cantiere vi sono. Tra le prime appariscenti modifiche osserviamo l’assenza di Carey il cui posto è ora occupato dall’imolese Stefano Domenicali che di certo ha una formazione nel mondo motorsport molto più solida. Ma sono tante le cose che hanno subito un processo di mutazione genetica in questi anni. Proviamo, quindi, a fare una sorta di tagliando delle operazioni per capire a che punto è la massima categoria dell’automobilismo.

F1

F1: i successi di Liberty Media Corporation

Sin dal primo giorno di operatività gli americani hanno voluto dare una forte impronta alla Formula Uno spazzando via la coltre di polvere sotto la quale il vecchio modello si era appiattita, quasi ammuffita. Bernie Ecclestone, pur avendo fatto cose eccellenti, aveva impostato “il giocattolo” su una rigidità mediatica del tutto incompatibile con un mondo sempre più interconnesso e nel quale le notizie viaggiano alla velocità della luce. Sotto l’impulso della nuova proprietà, la F1 è diventata più interattiva ed aperta. Al di là di critiche figlie di un modo di vedere le cose piuttosto vetusto, l’operazione è da accogliere con favore.

La classe regina del motorsport non sembra essere più una torre d’avorio inattaccabile. E ciò è un bene per chi opera nel settore dell’informazione. Ma anche per i tifosi che possono avvalersi di servizi sempre più tecnologici. A partire dalla fruizione delle gare che è diventata più completa grazie alla possibilità di poter accedere a dati ed elementi (come i team radio in real time, ndr) fino a qualche tempo fa omessi alle masse.

Liberty Media ha operato con successo sul calendario. Anche se qualcuno storce il naso, l’apertura a 24 gare (nel 2023 sono state 22 solo per via della recrudescenza della pandemia di Covid in Cina e per la drammatica alluvione che non ha permesso di far disputare il GP di Imola) rappresenta una vittoria confermata dai trend: il pubblico, sia ai GP che in collegamento da remoto, tende a crescere in maniera dirompente.

E questo è un fatto di cui non possiamo non tener conto in un’analisi lucida e che si affranchi da visioni nostalgiche in cui i team spendevano più tempo a testare le vetture a porte chiuse che a correre in pista. Ora le proporzioni sono diametralmente ribaltate, a tutto vantaggio dell’azione. Piaccia o no, ma i fatti ciò dicono.

Più controverso è il tema della Sprint Race che si lega direttamente alla questione calendario. Dopo due anni di test, il 2023 ha presentato un modello più pragmatico con location sicuramente più adatte per una gara veloce in cui non si effettuano pit stop. Nel 2024 lo schema sarà mantenuto. L’obiettivo di lungo periodo è quello di rendere questo paradigma lo standard della categoria limitando al massimo il numero di ore in pista che non diano punti. Quindi che non offrano lotta e azione. I numeri, ancora una volta, dicono che le scelte sono state vincenti.

E con ciò andiamo al più grande successo ottenuto da Liberty Media: aver aumentato e consolidato i fatturati. Con vantaggi anche per i team che si stanno spartendo utili mai visti negli anni precedenti. L’azione del colosso americano è stata tanto efficace da permettere alla Formula Uno di superare in scioltezza il Covid e la susseguente crisi finanziaria.

Sono state approntate misure di salvaguardia e protezione che hanno permesso alle scuderie in difficoltà di ancorarsi a solidi atolli di salvataggio. Dopo due anni di tempesta il Circus è ripartito di slancio più forte che mai. E questo è un successo innegabile che non può essere sottaciuto o considerato di entità irrilevante. Se lo tsunami è passato senza far danni è anche merito di Liberty Media.


F1: gli insuccessi di Liberty Media Corporation

Ogni lato positivo di una medaglia ha il suo rovescio. Ai brillanti conseguimenti sciorinati poc’anzi fanno da contraltare delle mosse rivelatesi inefficaci e altre che potevano – e ancora potrebbero – essere meglio implementate. Vediamo.

La mano di Liberty Media è ben visibile, forse troppo. La categoria ha subito una repentina spettacolarizzazione che fa percepire il contenuto sportivo come qualcosa di artefatto o non spontaneoDrive to Survive, fortunata serie TV che ha più i caratteri della fiction che del documentario, ne è vetrina concettuale. Lo show è un bene, d’altro canto lo sport è questo, ma bisogna calibrarlo meglio per non offrire un prodotto il cui esito a volte non è sembrato naturale.

Ma l’aspetto appena toccato è forse il minore dei mali. Ci sono altre cose che hanno deluso le attese e che non possiamo ancora considerare dei totali buchi nell’acqua solo perché potrebbe servire altro tempo per mandarle a pieno regime. Le nuove regole tecniche, scritte dalla FIA ma richieste con forza da Liberty Media, non hanno funzionato. C’è stato un incremento del numero dei sorpassi e le auto hanno dato la sensazione di essere leggermente meno sensibili all’aria sporca, ma di fatto la forbice prestazionale tra la vetta, il midfield e la coda si è aperta in maniera drastica rispetto al 2021. Almeno nel 2022.

Ancora, un gruppo dominante è emerso ed ha cannibalizzato la stagione con un numero di vittorie mai raggiunto prima da parte di un solo pilota. Se il target era quello di avvicinare i venti protagonisti, Liberty Media e FIA ci sono andati molto molto lontani. La ricalibrazione normativa che ha anticipato la stagione 2023 è stata un fallimento totale. Un anno con un solo attore protagonista non ha deposto a favore del castello concettuale eretto dagli statunitensi e il calo negli ascolti medi ne è riprova.

Nel presentare il punto precedente si è alluso al rapporto tra Liberty Media e la Federazione Internazionale che è legislatore, esecutore e giudice della Formula Uno. Ebbene, negli ultimi tempi l’intesa tra i due soggetti volge al brutto. Negli anni di Ecclestone il legame con la FIA era molto più serrato e solido. Oggi sembrano entità scisse e spesso litigiose. I motivi alla base della tensione sono molteplici e alcuni sembrano essere insanabili.

Mohammed Ben Sulayem, numero uno della FIA, e Stefano Domenicali, CEO della F1 per conto di Liberty Media

Liberty Media – FIA: cinque motivi di frizione 

L’ente parigino, da quando è guidato da Ben Sulayem, non ha impostato un gran rapporto con chi il Circus lo detiene. Sono cinque i punti dolenti di un rapporto mai decollato. Eccoli elencati in un’operazione necessaria a rendere chiaro il quadro in cui va dipanandosi una vera e propria lotta tra titani:

Sul primo punto, Mohammed Ben Sulayem si è dichiaratamente schierato in favore dell’ingresso della realtà statunitense la cui candidatura è stata bocciata dalla FOMStefano Domenicali e il gruppo che rappresenta non si erano mai esposti chiaramente sulla vicenda, né in prima battuta, né dopo l’arrivo del lasciapassare federale. La proprietà del Circus, insieme ai team, ha negativamente valutato l’impatto dell’ingresso dell’undicesimo soggetto acuendo le distanze tra gli organi di governo della F1.

Liberty Media ha pienamente sposato la visione delle dieci compagini attualmente operanti che vogliono proteggere il business così come è stato impostato e che non si accontentano dell’obolo di 200 milioni di dollari che Andretti avrebbe dovuto conferire per entrare. Una tassa ritenuta bassa perché figlia di un vecchio contesto operativo (quello vigente durante il Covid) e che oggi si sta spingendo per triplicare.

Per fare ciò serve la rivisitazione del Patto della Concordia che scade a fine 2025. La FIA, con un’iniziativa unilaterale e non supportata da FOM e squadre (fino a prova contraria i ⅔ del processo di decision making della F1), è andata dritta come una nave rompighiaccio determinando una faglia profonda. Un atto di forza non richiesto che era venuto dopo un altro momento carico di tensioni.

Si giunge così al secondo punto. Per molto tempo le due entità che guidano la Formula Uno avevano discusso sull’opportunità di raddoppiare in numero le Sprint Race. Gli americani ne erano convinti araldi, la Federazione, nella F1 Commission, si era messa di traverso facendo mancare l’appoggio dei suoi dieci delegati. La colpa di Liberty Media, secondo un battagliero Ben Sulayem, era quella di aver soddisfatto le richieste economiche dei team e non quelle di chi gestisce la pista con le sue maestranze e i suoi mezzi. Lunghe interlocuzioni sono state necessarie per arrivare all’accordo basato, manco a dirlo, su una bella siringa di dollari fatta da John C. Malone e soci. Caso archiviato ma tensioni non del tutto ammansite.

I dissidi sono stati superati ma nel quadro di un rapporto apparentemente compromesso considerando l’affaire Andretti. L’altro fronte (punto 3) che si è aperto è quello relativo alla FIA che, sposando il codice etico del comitato olimpico internazionale, ha di fatto apposto un filtro censorio ai piloti che non saranno più liberi, se non concordandolo, di esprimere posizioni su questioni politiche, etiche e sociali.

Un provvedimento che ha spaccato letteralmente il Circus e che ha generato le irate reazioni di Liberty Media che ha letto l’azione di un sempre più intraprendente manager emiratino come un atto liberticida. Non a caso si sono mossi gli avvocati del gruppo americano.

Un altro momento di scollatura si è manifestato in relazione alla manifestazione di interesse per l’acquisto della Formula 1 sulla base di 20 miliardi di dollari da parte del fondo PIF (The Public Investment Fund, società di investimenti dellArabia Saudita con un patrimonio pari a 360 miliardi di dollari, ndr). Liberty Media, in qualità di gruppo detentore dei diritti commerciali della massima categoria, aveva declinato la proposta. 

Nel solito slancio personale e non richiesto, Mohammed Ben Sulayemaveva voluto dire la sua, ingerendo in una trattativa che non gli competeva. Tramite il suo account Twitter, oggi X, l’ex rallista aveva espresso la propria opinione in merito alla proposta del fondo arabo. Lo aveva fatto in maniera piuttosto forte in relazione alla carica di presidente della Federazione Internazionale, ente che in questioni commerciali non ha voci in capitolo. 

E’ necessario ricordare che Liberty Media detiene per i prossimi 90 anni i diritti commerciali della F1. Nel cinguettio della discordia, Ben Sulayem, autodefinendosi custode del motorsport, lanciava un monito ai potenziali acquirenti chiedendo programmi trasparenti e sostenibili, affermando che la generosità dell’offerta monetaria non era il vero valore di riferimento. “Tali riflessioni oltrepassano i limiti di mandato della FIA così come qualsiasi diritto contrattuale. La federazione verrà considerata responsabile di eventuali danni subiti da Liberty Media”. Questa fu la risposta infuocata del colosso americano dell’intrattenimento. 

L’ultimo elemento di divergenza riporta al recente Mercedes Gate nel quale la FIA, inspiegabilmente, ha seguito gossip di stampa mettendo sotto accusa una colonna del motorsport, quella Mercedes che ha immediatamente recepito la solidarietà di Stefano Domenicali e di tutti i team principal. Cosa che, nei fatti, ha messo alle strette l’ex rallista arabo che esce piuttosto ammaccaticcio da una vicenda che ha sotterrato Place de la Concorde sono un bel cumulo di fango mediatico. A lecita ragione c’è sa aggiungere.

Visioni divergenti, quelle sopra mostrate, che al momento non trovano una sintesi. Alla fine un accordo si troverà, ma è chiaro che dopo la gestione Jean Todt la FIA sia diventata un ente meno amico della proprietà. Le decisioni arrivano dopo lunghe trattative e nel Consiglio Mondiale i 10 voti per parte non giungono sovente ad una posizione unitaria.

Max Verstappen (Oracle Red Bull Racing) in pista a bordo della RB19

Nella lunga teoria di elementi che non hanno ben funzionato nel settennato di Liberty Media c’è quello che conduce a uno dei punti cardine dell’agenda dell’azienda americana: la necessità di giungere ad una piena svolta green che è stata molto strombazzata ma che, invero, è lungi dall’essere applicata.

Tanti slogan e poca sostanza ad oggi. Bene il cambio di passo sui biocarburanti con la volontà di arrivare a benzine “drop-in” che possano adattarsi ai motori di serie generando emissioni zero, ma resta la contraddizione di una categoria che si basa su un calendario iper frammentato dal punto di vista geografico.

La razionalizzazione logistica delle gare, pur essendo stata realizzata in parte proprio col calendario della F1 2024, è una chimera, una dinamica piegata alle necessità dei promotoer che pagano e che pretendono di avere i gran premi in periodi specifici dell’anno.

Ecco che team, piloti, maestranze e merci corrono impazzite da un punto all’altro del globo. Ed è la logistica la prima voce di inquinamento della F1 che, in tutta evidenza, non riesce a mutare certe dinamiche perché al centro pone profitti e fatturati e non l’ambiente. L’obiettivo di avere una serie “full green” da conseguire entro il 2030 è ancora perseguibile, ma serve un’accelerata drastica e convinta. Che oggi non osserviamo.

Dal quadro su descritto, quindi, il bilancio dopo sette anni di lavori è in chiaroscuro. Di certo non possiamo negare i passi in avanti su alcune materie, così come non è possibile nascondere un’inattesa frenata su tematiche sensibili come quelle riferibili alla libertà d’espressione con una Formula Uno che ha deciso di imporre protocolli quasi liberticidi ai piloti che vogliono lanciare messaggi politici o sociali.

La classe regina dell’automobilismo, per concludere, è ancora nel pieno di un riassetto che non si fermerà mai come la storia insegna. Di certo bisogna evidenziare che alcuni difetti che oggi si ascrivono alla gestione Liberty Media sono retaggio del management Ecclestone.

Allargamento ad altri e meno tradizionali mercati, stiramento del calendario, motorizzazioni turbo-ibride e abbandono dei test in pista in favore di analisi computazionali e simulazioni sono elementi introdotti sotto il governo del dirigente inglese che oggi, in un processo di rimozione di responsabilità, è uno dei più feroci critici delle scelte che egli stesso ha imposto.


Crediti foto: F1, FIA, Liberty Media, Oracle Red Bull Racing

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