Lando Norris non ha passato un bel weekend in Texas. L’unica cosa da salvare è stata la sua settima pole position, che, piaccia o no, è entrata nella storia come la 300ª pole position per un suddito di Sua Maestà Re Carlo III.
Il pilota inglese della McLaren è una delle poche figure che mette d’accordo tutti o quasi. Dagli appassionati, ai fan, ai giornalisti, Lando Norris viene riconosciuto come un buon pilota, veloce, ma per molti non è e non sarà mai un potenziale campione del mondo.
Frasi perentorie che si ripetono ormai ogni weekend in cui c’è la F1, al limite del bullismo e del sadismo. Un limite che forse è stato superato. È normale per un pilota di F1 subire critiche, ma ricordiamoci che dietro al driver c’è una persona, non un robot. È troppo facile, dopo una tragedia, dire “ma veniva bullizzato e nessuno ha fatto nulla per evitarlo”. Ci sia consentita l’immagine forte.
Oggi pensare a una rimonta di Norris su Verstappen sembra wishful thinking, o per dirla con il titolo della celeberrima hit degli anni ’90 dei Go West, “King of Wishful Thinking”.
Il pilota inglese si trova in una situazione che, ad oggi, sembra più grande di lui. Verstappen è il peggior avversario possibile in una lotta per il titolo, anche se l’olandese non ha la miglior vettura in griglia. Inoltre, i top team sono tutti vicinissimi tra loro, e ogni minimo errore può essere fatale.
L’albo d’oro della F1 conta 34 campioni del mondo su 73 edizioni, con la 74ª è ancora in corso. Meno del 50%: un dato che ci dice che nella storia della F1 ci sono stati più Norris che Schumacher, Hamilton, Senna o Prost. Chiaramente auguro a Norris, come a tutti gli altri piloti, di entrare nel club dei campioni.
Due mondiali fa, Leclerc si è ritrovato nella stessa situazione in cui oggi si trova Norris. All’epoca, quando il monegasco commetteva un errore o la Ferrari incorreva in uno strategico, si tendeva a giustificare il tutto con l’inesperienza nella lotta al vertice, con la classica frase di circostanza: “Ma è la prima volta, ci sta”. Giustificazioni che nascono dal campanilismo tipico nostrano.
Per Norris, questo non è mai valso. Nel mondo della Formula 1, è visto solo come un pilota normale, veloce in qualche occasione, ma poco più di un mestierante che sembra non meritare una seconda chance.
Ci esaltiamo per le prestazioni di Liam Lawson al suo ritorno in F1, o per il debutto di Franco Colapinto quest’anno a Monza, o ancora per il nostro Andrea Kimi Antonelli, che esordirà l’anno prossimo in Mercedes. Probabilmente qualcuno li sta già vedendo con il titolo in tasca. Ma un giorno, potrebbero trovarsi nella scomoda posizione di Norris, non all’altezza della sfida che si troveranno davanti.
Cosa direbbero allora quelli che oggi li elevano già a top driver e campioni del mondo? Che sono stati dei bluff? O che è solo colpa dell’inesperienza nell’affrontare il livello più alto in assoluto del motorsport?
Se Norris avrà di nuovo l’occasione di lottare per il titolo, merita una seconda chance, come la merita Leclerc e come la meriteranno tutti coloro che verranno dopo di loro.

Noi scriviamo perché non siamo riusciti a diventare piloti di F1. Parafrasando il film premio Oscar “Birdman” di Alejandro González Iñárritu, oltre alla penna, o alla tastiera, dovremmo immedesimarci in loro, in ciò che provano in quei momenti. In F1, una sottile linea rossa divide il trionfo dalla sconfitta, la vita dalla morte, sportivamente parlando. Ma noi scriviamo: cosa ne sappiamo davvero di Formula 1?
Crediti foto: McLaren F1, VCARB