Ogni anno, puntuale come la pioggia in Inghilterra, arriva la solita litania durante il weekend del GP di Monaco: “È noioso”, “impossibile sorpassare”, “una parata da abolire”. Ma poi, quando esce il calendario 2026 e si scopre che Imola è stata esclusa, parte l’indignazione collettiva: “Com’è possibile?”, “Una pista storica!”, “Un pezzo di Formula 1 che se ne va”.
Ora, chiariamo subito una cosa: fa male anche a noi vedere Imola fuori, ma la verità è che non ci si può scandalizzare se la F1, sempre più moderna, tecnologica e mediatica, prenda decisioni coerenti con la sua evoluzione. E il paragone con Monaco, per quanto possa sembrare provocatorio, è dannatamente calzante.
Perché tutti criticano Monaco ma si scandalizzano per Imola?
Durante la race week di Monaco il web impazzisce: social, podcast, giornalisti e fan si scatenano a ripetere quanto quella gara sia inutile, noiosa, superata. Il mantra è sempre lo stesso:
- zero sorpassi, a meno di miracoli o strategie rischiose;
- qualifica che decide tutto, salvo errori clamorosi;
- spettacolo pari a uno spot di profumo.
Eppure Monaco resta lì, intoccabile. Perché?
Semplice: Monaco è un brand, un simbolo, una calamita per sponsor, VIP, contenuti premium e storytelling di lusso. Non è solo una gara: è un evento mediatico globale. Che piaccia o no, vale più per quello che rappresenta che per ciò che offre in pista.
E Imola? Purtroppo non basta la passione
Imola, al contrario, ha la storia, ha il fascino, ha il tifo. Ma non ha le infrastrutture, non ha la visibilità globale di Monaco e, soprattutto, non riesce più a offrire gare spettacolari con le monoposto attuali.
Ecco i veri problemi di Imola:
- il tracciato è troppo stretto per le F1 moderne, larghe e lunghe come autobus;
- la posizione in qualifica condiziona pesantemente la gara: chi parte davanti, arriva davanti;
- le infrastrutture per pubblico, media e paddock sono datate, e gli standard moderni non perdonano;
- l’area ha limiti logistici, anche solo in termini di accesso, parcheggi, trasporti e hospitality.
In altre parole: non è colpa di Imola, è che il tempo passa e il mondo va avanti. Non basta più avere un nome prestigioso o un ricordo nostalgico. Serve offrire qualcosa di sostenibile e redditizio, non solo tecnicamente, ma anche commercialmente.
La vera domanda è: vogliamo la F1 di oggi o quella di trent’anni fa?
Qui arriva il punto dolente. Non possiamo chiedere una Formula 1 moderna, iperconnessa, globale, con gare in USA, Asia e Medio Oriente, e poi pretendere che le stesse piste degli anni ’80 restino intoccabili.
Se Monaco rimane, è perché porta valore sotto altre forme. Se Imola esce, è perché non riesce più a stare al passo e la F1, che è business prima ancora che sport, non può permettersi di perdere efficienza.
La nostalgia è un bel filtro, ma non tiene in piedi un calendario da 24 gare, 11 squadre, centinaia di milioni di spettatori e miliardi di dollari in gioco.
Quindi smettiamola con le indignazioni a giorni alterni
Critichi Monaco perché non si sorpassa? Ok. Ma allora non ti stupire se poi la F1 inizia a tagliare le piste dove, guarda un po’, non si sorpassa. Perché la verità è che nessuna pista storica è al sicuro se non offre qualcosa in più: o in termini di show, o in termini di ritorno commerciale.
Imola ha dato tanto, e magari tornerà ancora. Ma nel frattempo, smettiamola di fare gli ipocriti. Se Monaco resta, è per convenienza. Se Imola esce, è per coerenza.
Crediti foto: Autodromo Internazionale Enzo e Dino Ferrari