George Russell non è mai banale nelle sue analisi e le parole pronunciate dopo il Gran Premio di Austin hanno il peso di una riflessione lucida su una Formula 1 che sembra aver smarrito il proprio centro tecnico e sportivo. “Al momento la F1 è una gara fino a curva-1”, ha dichiarato il pilota fresco di rinnovo pluriennale con la Mercedes. Una frase che sintetizza un problema strutturale: le gare moderne si decidono allo start, mentre i giri successivi diventano una processione ad alta velocità, priva di reale variabilità strategica.
Il britannico ha puntato il dito sulle gomme Pirelli, o meglio, sulla filosofia regolamentare che ha condotto a pneumatici sempre più resistenti, sempre meno sensibili al degrado. “Non c’è degrado degli pneumatici e svanisce il delta tra le gomme”, ha spiegato il driver di King’s Lynn. È un paradosso tutto contemporaneo: dopo anni di lamentele per un degrado eccessivo, ora la Formula 1 affronta il problema opposto con gomme troppo stabili, che annullano la variabile strategica e trasformano i Gran Premi in una questione di posizionamento iniziale.

Russell non attacca frontalmente Pirelli, anzi riconosce che l’azienda milanese “fa del suo meglio”, ma evidenzia come il prodotto fornito rispecchi esattamente le richieste di una FIA che ha perso di vista l’essenza dello spettacolo motoristico. La Formula 1 dovrebbe essere il laboratorio dell’equilibrio tra prestazione e gestione, tra rischio e rendimento. Invece, la logica normativa ha condotto a un tracciato che finisce in un vicolo cieco: si pretende di ridurre la gestione e aumentare lo spettacolo, ma si finisce col livellare tutto verso il basso.
L’idea stessa di uno pneumatico “perfetto”, capace di garantire grip costante per trenta giri, è in antitesi con il principio competitivo su cui la categoria si è costruita per decenni. L’usura, la gestione del ritmo, il degrado termico: sono questi gli elementi che creano tensione, che costruiscono le strategie e danno senso alle soste. Quando Russell afferma che “non ricorda nemmeno l’ultima gara con due pit stop”, fotografa una categoria che ha sterilizzato il proprio DNA. La strategia è ridotta a una scelta obbligata, i sorpassi sono diventati rarefatti, e le differenze prestazionali tra i team – “solo tre decimi tra la vettura più veloce e quella più lenta tra le prime sei” – vengono annullate dal fattore pneumatico.
La FIA e Liberty Media, nel tentativo di costruire un equilibrio artificiale, hanno finito per uccidere la dinamica. Le gomme Pirelli di ultima generazione non sono un errore tecnico, ma la conseguenza diretta di una visione miope. Il legislatore ha chiesto stabilità, prevedibilità e sicurezza, ottenendo invece gare monolitiche e prive di variabili tattiche. Il compromesso perfetto evocato da Russell – soft da 12 giri, medie da 15 e dure da 20, con un crollo netto di performance – rappresenta esattamente ciò che servirebbe per restituire profondità strategica alla categoria.

Oggi, la Formula 1 è vittima di una contraddizione: vuole il “flat-out racing”, ma nega alle gomme la possibilità di influenzare la narrazione sportiva. Il risultato è una competizione asettica, dove il DRS sostituisce il rischio e le soste ai box diventano routine, non più opportunità.
Russell ha solo messo in parole ciò che molti addetti ai lavori pensano da tempo: la Formula 1 non ha bisogno di pneumatici immortali, ma di gare vive. Finché il legislatore continuerà a inseguire un’idea teorica di perfezione tecnica, invece di favorire la naturale imperfezione che genera lo spettacolo, la categoria resterà intrappolata in un paradosso di efficienza che spegne il suo spirito competitivo.
Crediti foto: Mercedes-AMG Petronas F1 Team, Pirelli
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