Avete presente il gioco delle tre carte? Non intendo sottolineare la conclamata natura truffaldina dello stesso, ma riportare alla mente i movimenti ipnotici degli autori che spostano con sorprendente manualità le tre carte per ingannare, con rapidi gesti, gli sguardi dei poveri astanti che nella stragrande maggioranza dei casi ci rimettono soldi. Attinenze con F1 e FOM? Ci arrivo.
Quello che sta facendo la Williams con il telaio danneggiato nell’incidente di Alex Albon in Australia ricorda molto da vicino il gioco suddetto descritto in quel film culto che è Febbre da Cavallo.
Il telaio che vola dall’Australia a Grove, che viene rimaneggiato, che vola nuovamente verso il Giappone e che non va sulla vettura del danneggiante bensì su quella del povero Sargeant che, dopo essere stato appiedato suo malgrado, ora deve affrontare il difficilissimo tracciato di Suzuka con una parte cruciale della vettura racconciata. Si spera bene perché con l’incolumità dei piloti non si scherza.
Questa vicenda fa emergere una cruda verità che una volta e per tutte andrebbe resa manifesta senza trincerarsi dietro buonismi di facciata: la Williams è un team che non ha più nulla di quella gloriosa equipe che sapeva vincere e dominare. Una parabola al ribasso inarrestabile la cui rotta verso gli inferi non è stata invertita con un 2023 leggermente più decoroso. Ma sempre imparagonabile agli anni dei fasti.
Il team che dovrà attendere Miami, quindi i primi di maggio e due Gp completi da disputare in emergenza (Cina oltre al Giappone) prima di offrire finalmente un nuovo telaio al silenziosamente incassante Logan, non ci esce affatto bene. Ammesso poi – aggravante – che l’americano non debba accontentarsi di quello vecchio. Ci scommetto un euro.

Le difficoltà della Williams inchiodano la FOM colpevole di aver bocciato Andretti
Che c’entra la mancata approvazione della candidatura Andretti con la Williams? C’entra, fidatevi. La FOM, dopo l’accettazione da parte della FIA, aveva liquidato la pratica sostenendo due teorie che andavano a concatenarsi.
La prima è quella secondo cui il sodalizio americano non avrebbe generato valore aggiunto al marchio Formula 1. La seconda, accusa ancora più seria per quanto mi riguarda, è che sarebbe stato evidente il deficit tecnico rispetto alle “dieci sorelle” considerate più all’avanguardia nelle tecnologie e nelle modalità operative.
Signore e signori, qua c’è letteralmente da scompisciarsi dalle risate. La FOM tollera che una sua consociata non sia in grado di approntare un telaio nuovo in tre mesi dalla presentazione della prima vettura che ha svolto lo shakedown, ma fa la punta a non dico cosa a un gruppo ricco di idee, carico di soldi, pieno di voglia di fare – per giunta supportato da General Motors – che non sarebbe capace di provvedere alla costruzione di una vettura abile ad avere la meglio di una vecchia gloria del motorsport in caduta libera.
Sarebbe anche il caso di smetterla di prendere per il naso la gente. Nessuno invoca la sostituzione della Williams, né l’uscita della bivaccante Haas o della mesta Alpine che non sa cosa vuole essere da grande.
Si richiederebbe semplicemente buon senso e la possibilità di concedere una chance a chi intende fare le cose per bene e non, nello sport più tecnologico al mondo, presentarsi con la macchina rattoppata alla bene e meglio per incapacità di mettere a scaffale dei pezzi sostitutivi.
Sarebbe stato più onesto riferire pubblicamente che la Formula Uno è una torre d’avorio alla quale si accede solo per invito e non per richiesta esterna. Un po’ quello che ha fatto Audi che s’è comprata la Sauber.
Cosa che, tra l’altro, proprio Michael aveva provato a fare vedendosi sbattere in faccia un pesante cancello. La domanda che emerge è molto semplice: Andretti che diavolo vi ha fatto per meritarsi tutta questa avversione? Prima o poi lo scopriremo. Forse.
Crediti foto: Andretti Global, Williams Racing, Formulacritica