È da ieri che stiamo celebrando il funerale tecnico e sportivo della Renault, che ha dato seguito alle intenzioni espresse ormai da molti mesi: chiudere il reparto motori di Viry-Châtillon per proseguire solo come “assemblatore”, investendo i soldi risparmiati nel pagamento della fornitura dei propulsori Mercedes, i quali sostituiranno quelli oggi destinati all’Aston Martin che si è legata alla Honda.
Perché Renault è arrivata alla fatidica decisione di chiamarsi fuori dalla competizione motoristica? La natura della scelta è politica, ma anche figlia dei fallimenti tecnici di un’equipe che non è mai riuscita a capire come far funzionare le unità propulsive turbo ibride. Fin quando i motori erano aspirati plurifrazionati, la casa della Losanga non aveva rivali. Si ricordi, infatti, che l’ultimo ciclo di vittorie, prima del 2014, anno di debutto delle attuali architetture, fu firmato dalla Red Bull motorizzata proprio dal costruttore transalpino.
Da quando la F1 è passata alla nuova tecnologia, i francesi non ci hanno capito molto. Pochissime le vittorie ottenute, nulla in confronto ai capitali e alla forza lavoro investiti nel progetto. Un sistema che alla lunga non ha retto, portando a una vera e propria disfatta per i fieri transalpini, che non vogliono competere senza vincere. Ma forse è stata scelta la intrapresa più umiliante: quella di proseguire con un marchio che utilizza i servigi tecnici di un rivale tecnico e commerciale, ovvero Mercedes.

La F1 è stata poco lungimirante con Renault
Potrebbero esserci anche altri motivi oltre a quelli sopra descritti alla base della scelta di Renault. L’equipe di Viry-Châtillon, dopo aver interrotto la fornitura alla McLaren, si è trovata a costruire propulsori solo per la scuderia Alpine, quasi un’anomalia in una Formula 1 in cui Mercedes fornisce ben quattro realtà.
Per sostituire Woking, Renault ha tentato altre strade. La prima è stata il ritorno con Red Bull, ma Cyril Abiteboul, figura chiave dei francesi ai tempi, non voleva riprendere la collaborazione con Christian Horner, dopo i profondi dissidi causati dalle scarse prestazioni del V6 francese nella prima fase dell’era turbo ibrida.
A quel punto, a Renault non è rimasto altro che operare da sola, tenendo le antenne drizzate sulle opportunità che potevano presentarsi. Una di queste riguardava il gruppo Andretti. Nel suo programma per la Formula 1, Michael Andretti aveva sin dal primo momento chiesto e ottenuto il supporto di Cadillac.
Tuttavia, il costruttore americano – che aveva confermato il proprio impegno – aveva anche specificato che sarebbe stato pronto con le sue unità propulsive solo nel 2028. Fino a quel momento, sarebbe stato necessario stringere un accordo di fornitura con un altro motorista per marchiare il prodotto, un po’ come ha fatto Red Bull con le unità Honda.
Non si tratta di speculazioni prive di fondamento, ma di fatti comprovati: prima Luca De Meo, poi Bruno Famin, hanno confermato che era stato firmato un pre-contratto di fornitura tra Renault e Andretti. Tuttavia, l’intesa è scaduta tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024. De Meo ha reso noto che a un certo punto Andretti non si è più fatto sentire, lasciando scadere i termini dell’accordo.
De Meo aveva parlato della necessità di riscrivere eventualmente l’intesa, possibilità rimasta aperta fino all’inizio della primavera. Quando si è compreso che non c’era più interesse da parte degli americani, Renault ha iniziato a rivedere le proprie posizioni, fino a decidere di chiudere il programma motori per affidarsi a una più comoda fornitura esterna.
Renault e la mancanza di solidarietà in F1
È stato in questa fase che la Formula 1, intesa come gruppo che tutela i propri interessi, è venuta meno. I vertici di Liberty Media e gli altri competitor presenti in griglia non sono riusciti a valutare le difficoltà di Alpine, che negli anni scorsi aveva chiesto una deroga regolamentare per poter operare sul motore, palesemente meno competitivo rispetto ai concorrenti.
Si ricordano le proteste di Mercedes e Ferrari su questa possibilità, con la sola Red Bull che si era mostrata più aperta all’allargamento delle maglie normative. Alla fine non si è fatto nulla e gli organi preposti non hanno potuto aiutare Renault, che è così rimasta indietro con un propulsore che nessuno più richiedeva. Anche in vista del 2026, lo scetticismo generale ha condizionato i vertici della Losanga, che hanno preferito mollare piuttosto che insistere come invece chiedevano ingegneri e maestranze allocate in Francia.
Il fatto che FOM e team principal abbiano osteggiato fortemente la candidatura Andretti ha determinato un ripensamento anche per quanto riguarda i motori transalpini. Andretti ha quindi rafforzato la sinergia con Cadillac, con l’obiettivo di entrare in Formula 1 negli anni a venire, senza dover dipendere da una fornitura esterna.
Questa dinamica potrebbe aver influito fortemente sulle scelte strategiche di Renault, che ha pagato per la miopia del Circus, il quale insiste su un modello con dieci squadre, paradigma trattato come un dogma intoccabile.
In presenza di una doppia fornitura concordata, la casa francese avrebbe certamente rivisto le proprie politiche, proseguendo nella costruzione dei motori per non rompere accordi già presi, che avrebbero previsto penali importanti. La mancanza di un secondo team da fornire ha di fatto aperto la strada al ritiro senza gloria.
Se la Formula 1 avesse agito diversamente, senza ostacolare la candidatura Andretti e aprendo subito al modello a 11 squadre, Renault avrebbe saputo già dal 2023 che nel 2025 avrebbe potuto fornire un’altra scuderia, impostando programmi di lungo periodo e garantendo la sua presenza nella massima serie.
La pessima gestione della Formula 1, probabilmente, come ho spiegato in un altro articolo (leggi qui), potrebbe rivelarsi un assist per Andretti, che porta con sé Cadillac, la quale potrebbe diventare un asset fondamentale per quel Circus ipercompetitivo auspicato da Liberty Media Corporation, che sembra però riluttante ad applicare pienamente questa visione.
Crediti foto: Andretti, Alpine