F1 – Ci risiamo: anche stavolta la strategia di gara non è stata indovinata. Non siamo tipi da nasconderci dietro un dito e, partendo dalla trasparenza che sempre ci muove, lasciamo a disposizione di chi voglia recuperarla la preview strategica del GP di Cina: clicca qui. Si raggiunge la conclusione che l’optimum per i 56 giri da compiere per raggiungere la bandiera a scacchi era quello della doppia sosta con uno schema media-hard-hard.
Bene, dei front runner, l’unico ad aver cavalcato questa tattica è stato Lewis Hamilton. Con risultati piuttosto deludenti visto che il vincitore della Sprint Race si è dovuto accontentare di un mesto sesto posto alle spalle del compagno di squadra, che nel finale è letteralmente crollato cedendo il passo a un Max Verstappen sornione che non è andato comunque oltre la quarta piazza.

F1: dalle analisi alla confusione generalizzata
Cosa succede? Semplice: le gomme nessuno le ha capite e questo processo va avanti ormai da troppo tempo. Una dinamica che si acuisce nel momento in cui si innesta il weekend Sprint, che porta a una sola sessione di prove libere nella quale non sempre c’è il tempo di provare tutto.
C’è chi si concentra sul giro push, chi abbozza una prova di passo gara. Diverse cose testate, nessuna fatta per bene. Ecco che la gara domenicale – l’evento clou di ogni weekend – diventa un tiro di dadi. Puro fatalismo. E questa cosa dà un po’ fastidio visto che, se è vero che il Gran Premio è il main event, questo dovrebbe essere esaltato e non trasformato in un terno al lotto.
Accade che la Sprint Race serve per capire come comportarsi durante il GP della domenica. Ma questo non sempre è possibile, considerando che, essendoci punti in palio, le scuderie tendono a massimizzare le prestazioni per battere i rivali. Succede allora che una Ferrari riesca a vincere la garetta in maniera dirompente con gomma media per poi smarrirsi del tutto il giorno dopo sia con il compound in oggetto sia con la versione più dura, che di fatto non è stata mai testata nei turni precedenti. Tanto ci pensano le simulazioni. Certo…

Maranello, pensando di fare un’operazione positiva, ha stravolto il setup della SF-25, togliendo certezze e punti di riferimento a Lewis Hamilton, che si è trovato a lottare con una macchina sottosterzante in ingresso e sovrasterzante in uscita (qui per approfondire il disastro sinico). Insomma, quel comportamento che tanto fastidio dà ai piloti. L’ha fatto solo per rispettare le Pirelli? Forse no. Forse aveva bisogno di evitare ciò che alla fine è stato inevitabile: una squalifica per eccessiva usura del pattino. Cosa che ci riporta all’incipit di questo scritto: non si capisce un tubo.
Gomme imprevedibili, assetti la cui resa crolla miseramente al variare di poche condizioni. Piloti spiazzati, ingegneri basiti e tifosi incavolati. Questa la sintesi da operetta che vien fuori dal GP della Cina. Ma ciò che fa veramente riflettere è che anche la Pirelli, che le gomme le studia e le produce, resta a bocca aperta, intontita, nel realizzare che, nonostante gli sforzi e gli annunci invernali (“Puntiamo a gomme più morbide che non durino infinitamente”, questo il senso del ragionamento più volte espresso da Mario Isola), le coperture restano marmoree, refrattarie al consumo, eterne nella resa.
Ne viene fuori la sconfessione totale di quello che la stessa “P lunga” aveva previsto, con il povero Hamilton che segue la strategia indicata dal costruttore, ma che alla fine gli fa perdere una posizione rispetto a quella che aveva prima dell’ultima fermata. Poi ci si mette la Ferrari con le sue “magie” a farlo fuori in una storia in cui i confini tra il grottesco e lo psicodramma sono maledettamente labili.
Passerà che la colpa è dei cinesi, che hanno posato un nuovo asfalto che, una volta tanto, funziona da Dio, visto che non registra sgretolature né altre problematiche che sovente abbiamo osservato negli Stati Uniti, da tutti – specie da loro – considerati il punto di riferimento dell’avanguardia tecnica.
Attenuante? Macché! È Pirelli che va in loco, preleva campioni e ne fa analisi su aderenza, abrasività e altri parametri, per poi fornirli ai team che, a loro volta, producono le simulazioni che arrivano nei laboratori del gommista, che poi delibera i valori di esercizio del suo prodotto. Che a Shanghai erano sballati, tanto da dover correre ai ripari con un cambio di pressione tra il venerdì e il sabato.
La colpa, se proprio vogliamo dirla tutta, è di una filiera che non funziona. Nel processo sopra descritto manca un elemento chiave che sballa tutto il rapporto tecnico: il lavoro in pista. Oggi non si gira a sufficienza. Si prova poco, i driver non conoscono le gomme, tanto meno lo fanno le squadre. Finché i padroni del vapore di Liberty Media non scardinano le loro convinzioni, la Formula 1 sarà un gioco d’azzardo. Un “tiro di dati” (non è un errore) in cui il fato vince sull’analisi. Se è questo ciò che vogliono, lo dicano. E evitino, di conseguenza, di farci perdere tempo con le loro previsioni strategiche. Ce le risparmieremmo anche noi ben volentieri.
Crediti foto: Oracle Red Bull Racing, Scuderia Ferrari HP, Pirelli Motorsport