C’è un momento, nella vita di ogni sport, in cui l’epoca dominante non è più sufficiente a se stessa. Serve un confronto. Serve uno specchio. Serve una misura. Nella F1, quella misura è quasi sempre il passato. A rinfrescare il dibattito – o, a seconda dei gusti, a riaccendere il fuoco della nostalgia – è stato Jacques Villeneuve, campione del mondo 1997, mai avaro di giudizi tranchant. Questa volta l’obiettivo non era un team o una regola, ma un uomo: Max Verstappen.
Il canadese non lo attacca. Anzi, lo elogia. Lo definisce un “pilota puro”, un talento cristallino, un interprete moderno della velocità. Ma si ferma lì. Perché, secondo lui, stopparsi è necessario. Non basta dominare un’epoca per essere il più grande di tutte le altre.
Il ragionamento dell’ex Williams è semplice: la Formula 1 di oggi appiattisce le differenze. Villeneuve lo dice senza giri di parole. In passato, tra i primi e la pancia del gruppo, il distacco era nell’ordine dei due secondi. Oggi, mezzo secondo basta a racchiudere metà schieramento. Colpa – o merito – di auto più stabili, più prevedibili, più sicure. Colpa – o merito – di regolamenti che impongono una gestione esasperata degli pneumatici, fino a trasformare le gare in esercizi di economia della gomma. Risultato: un “pilota medio” può sembrare “accettabile”. E se la media si alza, la stella non brilla più come una volta.
Villeneuve si spinge oltre. A suo dire, negli anni di Ayrton Senna e Alain Prost, c’erano “cinque piloti come Max” ogni anno. E oggi? Uno solo. Non perché Verstappen sia superiore ai fuoriclasse del passato, ma perché gli altri non sono alla sua altezza. “Max non è migliore dei migliori di allora”, taglia corto. “È semplicemente quello che c’è oggi. Per questo spicca”. Un’osservazione che ha il sapore della provocazione. Eppure, in superficie, ha un suo fondo di verità.

Max Verstappen, un dominio senza precedenti
Max non ha rubato nulla, sia chiaro. Ha debuttato in F1 a 17 anni, ha vinto una gara a 18, ha conquistato quattro titoli mondiali consecutivi e, anche se in difficoltà con una RB21 non all’altezza, riesce comunque a sciorinare prestazioni maiuscole. È feroce in qualifica, chirurgico in gara, lucido nella gestione del passo e degli pneumatici. Ha vinto in condizioni variabili, su piste diverse, con strategie contrastanti. È il volto di un’epoca. Ma è anche il frutto della stessa.
Villeneuve, infatti, non mette in dubbio il talento del campione olandese. Mette in discussione il contesto. O, più precisamente, il peso di questo nel valutare il talento. Perché la Formula 1 del 2025 è una bestia completamente diversa da quella del 1989 o del 1991. Le vetture sono più lunghe, più pesanti, più affidabili. I ritiri meccanici sono un’eccezione. I dati sono ovunque: ogni curva, ogni uscita, ogni temperatura è monitorata in tempo reale. I piloti non guidano soltanto: gestiscono.
In questo ambiente, la velocità pura non è più sufficiente. Serve intelligenza strategica, attenzione costante, capacità di tradurre informazioni in ritmo. Non si vince più solo con il piede destro: si vince con il cervello.

Il romanticismo anti-moderno
È qui che si inserisce la vena “romantica” della critica di Villeneuve. Non è un attacco a Verstappen. È un rimpianto. Il rimpianto di un’epoca in cui il talento si misurava con il coraggio, la macchina era un compagno imperfetto, il rischio era reale e il pilota era il vero discrimine.
Nell’era Senna-Prost-Mansell, per dirne tre, i duelli erano fisici, gli errori avevano un prezzo, i sorpassi erano più rari ma più significativi. Oggi, la Formula 1 è un esercizio di efficienza, dove la differenza si fa nei dettagli invisibili. Villeneuve, cresciuto nel mito del padre Gilles e vincitore di un titolo in una stagione folle, non può che guardare con sospetto a una disciplina in cui l’errore si punisce con due file in griglia, non con un’uscita di pista. Ma è giusto?
F1 – La forza del presente
Chi guarda la F1 di oggi con occhi meno nostalgici potrebbe rispondere diversamente. Il fatto che mezzo secondo racchiuda dieci vetture non è segno di appiattimento, ma di qualità media più alta. Il fatto che un pilota “mediano” “sembri accettabile” non significa che sia mediocre: significa che il livello generale è cresciuto.
Oggi i margini sono minimi, le qualifiche sono spesso decise da millesimi, e la differenza tra pole position e quarta fila si fa in una frenata. In questo scenario, emergere non è più facile: è semplicemente diverso.
Verstappen domina perché è in grado di farlo. Non perché gli altri siano scarsi, ma perché lui è costantemente perfetto. O almeno ci si avvicina con costanza alla perfezione. E forse proprio questo è il suo merito più grande: l’aver trovato la chiave per interpretare un’epoca complicata, e dominarla come se fosse semplice.

Le epoche che non si toccano
Alla fine, la vera questione è un’altra: ha senso confrontare epoche così diverse? Le macchine non sono paragonabili. I circuiti sono cambiati. I regolamenti sono stati rivoluzionati. La sicurezza ha trasformato l’atteggiamento dei piloti, le tecnologie hanno stravolto il modo di correre. I campionati sono più lunghi, più globali, più stressanti. I team operano come eserciti, non come officine.
E allora cosa stiamo davvero comparando? ll talento? Certo. Ma il talento vive nel suo tempo. Senna, oggi, sarebbe lo stesso Senna? Verstappen, trent’anni fa, avrebbe avuto lo stesso impatto? Nessuno può saperlo! E proprio per questo, ogni tentativo di stilare classifiche “assolute” tra epoche rischia di essere un esercizio sterile.
D’altronde, confrontare Senna e Verstappen è un po’ come chiedersi se un gladiatore romano batterebbe Mike Tyson in un combattimento corpo a corpo. Affascinante da discutere al bar, rigorosamente inutile in qualsiasi altro contesto, specie se si intende fare analisi seria. Le epoche non si confrontano: si raccontano. Ognuna ha i suoi miti, i suoi linguaggi, i suoi mostri sacri. Ognuna ha plasmato il talento a modo suo. E ogni campione ha brillato nel proprio cielo.
Villeneuve ha lanciato la sua provocazione, com’è nel suo stile. Ma forse la vera grandezza sta proprio nel non cercare un “più grande di tutti”. Perché, a pensarci bene, la Formula 1 non è un’arena eterna dove i campioni si sfidano tra secoli diversi. È una storia a capitoli. E Max Verstappen, piaccia o meno, sta scrivendo il suo.
Crediti foto: Oracle Red Bull Racing, McLaren, F1
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