La F1 come Jurassic Park

Con il rinnovo di Fernando Alonso in Aston-Martin, l’età media dei piloti è sempre più alta: la F1 non è uno sport per giovani

Siamo in piena fase cinematografica noi di formulacritica. Dopo l’intervista esclusiva con Giorgio Montanini pubblicata ieri sera, oggi facciamo nuovamente ricorso alla settima arte. Stavolta la usiamo come appoggio concettuale per spiegare come la F1, invecchiando anagraficamente, sembra essersi trasformata in una sorta di Jurassic Park

Il contratto pluriennale che Fernando Alonso ha stipulato con la Aston Martin determina l’aumento dell’età media dei piloti in una disciplina che ormai non è più appannaggio dei giovani.

I conducenti anagraficamente più freschi, sempre più spesso, non trovano spazio nella massima categoria del motorsport e sono costretti a emigrare in altre serie dicendo addio ai sogni di gloria.

Sovente parliamo di piloti che hanno vinto e dominato nelle categorie propedeutiche ma che, per un motivo o per un altro, non vengono considerati dalle dieci scuderie in griglia venendo perlopiù costretti a stare in panchina, ad accontentarsi di qualche ora di prove libere – obbligati dalla FIA – e a lavorare al simulatore per sviluppare la vettura per i titolari.

Di questo ne abbiamo già discusso in un precedente scritto in cui si proponeva il modello “Blue Lock” come mezzo per spingere il motorsport ad essere più aperto verso le nuove leve. Un meccanismo chiaramente inapplicabile, una provocazione per rendere manifesta l’idea di una disciplina che non riesce a rinnovarsi nelle line-up.

Fernando Alonso - Aston Martin
Un raggiante Fernando Alonso, Aston Martin

F1 come Jurassic Park: sbilanciamento anagrafico

Oggi, in griglia, la F1 presenta appena tre piloti nati dal 2000 in poi: il giapponese Yuki Tsunoda della VISA CashApp Racing Bulls, lo statunitense della Williams, Logan Sargeant, e l’australiano Oscar Piastri della McLaren, nato nel 2001. Quest’ultimo è il driver più giovane del lotto con i suoi 23 anni compiuti il 6 aprile scorso.

Dall’altra parte della barricata abbiamo una folta schiera di professionisti che ha oltrepassato i 30 anni. Un po’ per blasone un po’ per l’esperienza maturata, le scuderie si trovano ad affidarsi a conducenti più “stagionati” che garantiscono pochi errori e permettono, forse, di raggranellare più punti. Ma ciò non sempre è sinonimo di efficienza perché la mancanza di ricambi rischia di inaridire fatalmente la fonte.

I casi emblematici sono quelli del danese Kevin Magnussen e del tedesco Nico Hulkenberg della Haas richiamati in pista, il primo, per sostituire il russo Nikita Mazepin (estromesso dalla F1 dopo l’invasione della Russia in Ucraina) e, il secondo, per rimpiazzare il connazionale, il figlio d’arte Mick Schumacher, dopo i risultati non eccezionali e le varie diatribe con il team principal dell’epoca, l’altoatesino Günther Steiner.

L’ultimo esempio – forse il più calzante per ciò che intendiamo dimostrare – è il ritorno nella fu Alpha Tauri dell’australiano Daniel Ricciardo che, nel 2023, prese in corso d’opera il posto che era dell’olandese Nyck de Vries. 

Con l’inizio del campionato mondiale 2024, il 34enne non sta portando fieno in cascina alla scuderia di Faenza. Numerose le critiche nei suoi confronti per un professionista che, fino a pochi anni fa, era uno dei pretendenti al titolo. Sembra passata un’era dai tempi Red Bull in cui teneva testa, riuscendoci, a Max Verstappen. 


Le classi propedeutiche allenano poco alla F1?

L’altro ieri l’asso spagnolo Fernando Alonso ha firmato un rinnovo pluriennale con l’Aston Martin alla veneranda età di 42 anni. Se la durata dovesse essere confermata (si parla di un triennale), Nando gareggerebbe fino a 45 anni pareggiando quanto fatto da Graham Hill.

La Formula 1 guarda soprattutto ad un pubblico giovane. Pur di attrare le fasce meno attempate snatura uno sport ma, allo stesso tempo, si affida a piloti che, per età, potrebbero essere padri degli spettatori che compongono la cospicua fan base odierna.

Lewis Hamilton – Mercedes AMG Petronas F1 Team

La F1 va verso il futuro ma rimescola il passato affidandosi a dinosauri ancora efficienti. Non solo l’asturiano, il discorso si allarghi anche a Lewis Hamilton fresco di intesa pluriennale e multimilionaria con la Ferrari. 

C’è la sensazione che i giovani, anche quelli talentuosi, la Formula Uno la debbano solo sfiorare. Un sogno, quello di competere e di gareggiare con i migliori piloti al mondo, che  rimane chiuso in un cassetto perché non si riesce ad arrivare ad un completo cambio generazionale

E qui si arriva a un’altra strisciante verità: le classi propedeutiche sono davvero così allenanti? Se i manager della Formula Uno puntano sui “dinosauri” è forse perché chi spinge dal basso non ha la cifra tecnica per garantirsi un posto al sole.

Quella ritrosia concettuale ad aprirsi ai piloti meno esperti si spiega forse con un modello che li tiene sempre più lontani dalla pista relegandoli all’uso dei simulatori. Forse il cambio culturale va applicato alla radice, solo così la F1 può provare a superare la sua “fase giurassica”. 


Crediti foto: F1, Aston Martin, Mercedes-AMG Petronas F1 Team

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