La F1 Academy è stata presentata come una grande iniziativa per promuovere la diversità nel motorsport, offrendo alle donne una piattaforma per emergere nel mondo delle corse. A prima vista potrebbe sembrare un progetto nobile, ma basta grattare un po’ la superficie per rendersi conto che è solo l’ennesima trovata di marketing mal riuscita, che finisce per peggiorare la situazione.
Ghettizzazione mascherata da inclusività
Mettere le ragazze in un campionato a parte non è inclusività, è ghettizzazione. Il vero problema è che, creando una competizione separata, si trasmette il messaggio che le donne non siano in grado di competere con gli uomini. La F1 Academy non le aiuta a fare il salto verso la Formula 1; al contrario, le isola in un mondo parallelo, come se dovessero fare un percorso differente solo perché sono donne. Non c’è una vera integrazione, ma solo un muro invisibile che dice “ecco il tuo spazio, ma da lì non ti muovi”.
Quello che serve è che le donne corrano negli stessi campionati degli uomini, dimostrando il loro valore in pista, e non in una serie creata ad hoc per tenerle separate. Altrimenti, a che serve parlare di meritocrazia?
Un campionato di serie B con auto di serie B
Le auto utilizzate nella F1 Academy sono vetture di F4. Nulla contro la Formula 4, ma è il campionato di ingresso per giovani piloti, non una piattaforma adatta per donne che hanno già più di 20 anni. L’età media delle partecipanti è superiore ai 20 anni, mentre i ragazzi che corrono in F4, in campionati nazionali o regionali, sono spesso adolescenti di 15 o 16 anni. È ridicolo che si consideri questo un vero passo avanti per le donne nel motorsport.
E cosa succede quando una pilota vince la F1 Academy? Ha l’opportunità di partecipare alla FRECA (Formula Regional European Championship by Alpine), dove l’età media è di circa 19 anni e i piloti sono già ben sponsorizzati. Insomma, le ragazze partono già in svantaggio: entrano tardi, devono ancora cercare di farsi notare mentre i loro colleghi maschi hanno già accumulato esperienza e, cosa non trascurabile, un bagaglio di sponsor che le loro colleghe si sognano.
La solita operazione di facciata
Il problema di fondo è che la F1 Academy non è altro che una bella operazione di facciata. Serve solo a ripulire l’immagine della Formula 1, cercando di dimostrare che stanno facendo qualcosa per promuovere la diversità, quando in realtà stanno ripetendo gli stessi errori della W Series, un progetto che è naufragato perché nessuno era veramente interessato a supportarlo.
La W Series è stata cancellata per mancanza di fondi, nonostante la pomposa retorica iniziale. La F1 Academy rischia di seguire lo stesso percorso: si creerà una bolla di interesse iniziale, ma senza un vero supporto, senza dare alle donne l’opportunità di correre davvero contro gli uomini, finirà per sgonfiarsi come un palloncino bucato. Non è sufficiente far correre le donne contro altre donne: bisogna creare le condizioni per farle competere ad armi pari con gli uomini. Solo così si può parlare di inclusività.
Un fallimento annunciato
La F1 Academy non è altro che una “cagata pazzesca”, come direbbe Fantozzi. Non risolve nulla, non aiuta le donne a farsi largo nel motorsport e non promuove la vera inclusività. Al contrario, crea una competizione separata, con auto inadatte e un percorso che le penalizza ancora di più rispetto ai loro colleghi maschi. Se la Formula 1 vuole davvero fare qualcosa per le donne, deve smetterla con queste operazioni di facciata e dare loro l’opportunità di correre dove conta davvero: in pista, contro tutti, senza scorciatoie o divisioni.