Ieri, Aurelio De Laurentiis, imprenditore cinematografico e patron del Napoli Calcio, ha rilasciato alcune dichiarazioni a margine del Napoli Racing Show sulla possibilità di ospitare un Gran Premio di Formula 1 nel capoluogo partenopeo o addirittura di immaginare una location tra Pompei, Ercolano e la Costiera Amalfitana. Parole che vengono da un visionario che molto ha fatto nel mondo del pallone e in quello delle pellicole, ma che appartengono più al dominio della suggestione che a quello della fattibilità.
La visione del presidente è affascinante, per certi versi quasi cinematografica: monoposto che sfrecciano tra Castel dell’Ovo, via Caracciolo, il Vesuvio alle spalle. Un’immagine potente, capace di far breccia nell’immaginario collettivo. Eppure, quando si passa dalla fantasia al terreno rigido della Formula 1 contemporanea, quello scenario evapora.

Un Gp a Napoli: perché è praticamente impossibile
Oggi il Mondiale vive entro un calendario blindato da ventiquattro gare. Liberty Media e i team lo considerano già il limite massimo fisicamente e logisticamente gestibile. Per entrare, qualcuno deve uscire. E nessuno ha intenzione di farsi da parte, soprattutto in un contesto dove ogni singola tappa paga fee milionarie e ha contratti pluriennali difficili da scalfire.
L’Europa, inoltre, non è più il baricentro della F1 moderna: lo era fino agli anni Novanta, ma oggi la serie si sta spostando in modo evidente verso gli Stati Uniti, il Medio Oriente e l’Asia, territori economicamente strategici e disposti a investire cifre colossali pur di assicurarsi un posto in calendario. A differenza di quanto avviene a Miami, Austin o Las Vegas (gli USA sono la base strategica della proprietà), nessuno immagina un’Italia con due appuntamenti iridati: già mantenerne uno è un’impresa politica ed economica.
Il discorso si fa ancora più complesso se si considera la regola non scritta che limita a uno il numero dei Gran Premi per Paese. Gli USA rappresentano un’eccezione costruita sul peso del mercato interno e sulla strategia globale di Liberty Media, non un modello replicabile. L’Italia ha puntato tutto su Monza, unico evento sul quale governo, ACI e istituzioni hanno deciso di concentrare investimenti e sforzi. L’Autodromo brianzolo è in piena fase di ristrutturazione, ha bisogno di stabilità e sostegno economico costante. In questo contesto, pensare che la Formula 1 possa lasciare fuori Imola – circuito storico, omologato FIA Grade 1, già pronto e infrastrutturato – per portare un cittadino tutto da costruire nel cuore del Golfo è una fantasia priva di fondamento.

Liberty Media e la tagliola dei costi
C’è poi la questione dei costi, impossibile da aggirare. La tassa minima richiesta da Liberty Media si aggira attorno ai trenta milioni di euro a stagione, ai quali vanno aggiunti decine e decine di milioni necessari per realizzare infrastrutture semi-permanenti, adeguamenti stradali, sistemi di sicurezza, hospitality, logistica, piani di evacuazione e gestione del pubblico.
Nessuna amministrazione locale, né il Comune né la Regione, potrebbe permettersi una spesa simile in un contesto già caratterizzato da priorità molto più urgenti. E non potrebbe farlo nemmeno lo Stato, già impegnato nel mantenimento del solo GP d’Italia. Monza fatica, Imola è fuori dai ventiquattro e per Napoli si parla persino di un tracciato da inventare da zero.
Ma anche ammettendo per assurdo che ci fossero le risorse economiche e la volontà politica, resterebbe l’ostacolo più grande: l’Italia reale. Napoli è una città straordinaria, ma complessa. La gestione quotidiana del traffico è già un’impresa; immaginare una metropoli del genere chiusa per settimane per permettere l’allestimento di barriere, tribune, paddock, centri media e vie di fuga secondo gli standard FIA significa sconfinare nel surreale.
A fine anni Novanta fu annullata una tappa del Superturismo quando le tribune sul lungomare erano già montate, segno di quanto sia delicato ogni intervento che impatti sulla viabilità cittadina. E se fu impossibile allora, appare ancor più impensabile oggi, in un’epoca in cui la Formula 1 richiede una logistica quasi militare.

La Formula E potrebbe fare al caso di Napoli?
Il paradosso è che una competizione automobilistica a Napoli, invece, è assolutamente possibile. La Formula E, con il suo format più leggero, il weekend corto, la minore invasività e le infrastrutture temporanee più snelle, rappresenta un’opzione più realistica. Non avrebbe il peso economico schiacciante della Formula 1 e sarebbe compatibile con il tessuto urbano senza paralizzarlo. È lo stesso De Laurentiis a ricordare di aver già proposto in passato l’arrivo della categoria elettrica nel capoluogo campano, un’idea che può camminare sulle gambe della fattibilità e non solo sulla forza dell’immaginazione.
Parlare di Formula 1 a Napoli significa evocare uno scenario poetico e panoramico, ma lontanissimo dalla realtà della Formula 1 contemporanea. Non manca il fascino, anzi: il Golfo sarebbe un teatro unico al mondo. Manca il resto, ciò che econta: calendario, politica sportiva, logistica, burocrazia, priorità nazionali ed equilibrio economico. La F1 è una macchina che non perdona improvvisazione, romanticismi o slanci creativi, ed è proprio per questo che un suo arrivo in Campania appare semplicemente impossibile.
Se Napoli vuole davvero un grande evento internazionale legato al motorsport, la strada non passa dai V6 ibridi da mille cavalli, ma dalle monoposto elettriche della Formula E. Lì, almeno, la visione può diventare progetto. E il progetto, forse, realtà.
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