Le monoposto a effetto Venturi stanno per diventare un ricordo. Tra otto mesi le monoposto attuali saranno oggetti museali poiché la Formula 1 sta per introdurre un contesto normativo del tutto nuovo che agirà sia sulle Power Unit (leggermente semplificate grazie all’abolizione del motogeneratore MGU-H) e soprattutto sulla veste aerodinamica, con interventi che aumenteranno l’efficienza dell’aerodinamica attiva – evitando però di mantenere strumenti ormai anacronistici come il DRS – e con espedienti che avranno il compito di evitare le problematiche emerse durante l’attuale contesto regolamentare.
Le monoposto a Effetto Suolo – chiamate in questo modo con un po’ troppa enfasi e per necessità di semplificare il concetto – hanno sostanzialmente fallito nel loro obiettivo principale: permettere a chi inseguiva di stare in scia per avere duelli più ravvicinati e quindi gare più vive.
Le norme introdotte nel 2022 erano state studiate sostanzialmente per raggiungere tre obiettivi:
- Evitare i monopoli;
- Generare più variabilità;
- Introdurre un contesto nel quale le vetture facessero meno fatica a girare in aria sporca.
Come sono andate le cose? Vediamo.

F1 a effetto suolo: una sostanziale bocciatura
Gettando uno sguardo su tutte le quattro stagioni dell’attuale quadro disciplinare si è visto emergere un solo campione del mondo piloti e due team a dividersi la Coppa Costruttori. Messa così, si può notare che i primi due punti siano stati al contempo centrati e disattesi.
La Formula 1 aveva deciso di stravolgere sé stessa dopo un settennato di dominio totale della Mercedes, che era stato spezzato solo nell’ultimo anno del vecchio contesto normativo con Max Verstappen ad ottenere il primo titolo della sua carriera. Si contava, già nel 2022, di creare una classe molto più aperta che invece ha generato un monopolio ancora più forte, sublimato, nel 2023, con l’emersione della vettura più vincente della storia della categoria: la Red Bull RB19, che le prese tutte tranne una, il GP di Singapore vinto da Carlos Sainz su Ferrari.
Quello è stato il momento più basso delle regole attuali, visto che tutti i desiderata di Liberty Media e della Federazione Internazionale dell’Automobile crollarono miseramente. Ma l’anno successivo, in maniera piuttosto sorprendente, ha mostrato una straordinaria convergenza prestazionale per la quale ben quattro squadre e sette piloti sono riusciti ad ottenere vittorie, offrendo un campione costruttori diverso dalla Red Bull.
Una piccola rivincita del legislatore della Formula 1, che probabilmente anche nel 2025 potrà vantare questo tipo di successo con un campionato che, pur vedendo la McLaren come leader tecnico, non vede distanze clamorosamente aperte. Almeno per quanto riguarda i top 3, nei quali, ahinoi, in questo momento non rientra una Ferrari che si interroga sulla SF-25, provando a capire se si tratta di un flop o di una vettura dalla quale può essere estratto del potenziale.
Se i primi due punti possono essere valutati non del tutto negativamente poiché, anche se è servito del tempo, si è giunti a quelli che erano gli obiettivi dei costituenti, il fallimento totale giunge per il terzo elemento, ossia nella definizione di vetture aerodinamicamente insensibili alle scie sporche.
Il Gran Premio del Giappone è la perfetta cartina di tornasole per spiegare lo status quo. Alla fine della gara, Andrea Stella, team principal della scuderia di Woking, ha spiegato come sia stato impossibile attaccare Verstappen proprio perché le vetture attuali risentono delle scie negative in una maniera che forse ha superato le auto del 2021.
Il manager italiano ha descritto un quadro che sembra drammatico ma che è lucidamente realistico: “Su questa pista servono sette-otto decimi di vantaggio in termini di prestazioni per riuscire a sorpassare”, ha affermato l’ingegnere orvietano, alludendo all’impossibilità di Lando Norris di provare la stoccata decisiva nei confronti di Verstappen. Il Gran Premio di Suzuka, in effetti, è stato caratterizzato da un trenino al vertice che è stato determinato anche da scelte troppo conservative della Pirelli, come abbiamo descritto in questo focus (leggi qui).
Una serie di decisioni che mostrano come la Formula 1 attuale non abbia superato – anzi, abbia addirittura esacerbato – certi caratteri negativi della precedente stagione regolamentare. Le nuove norme dovevano provare a limitare l’effetto outwash, dal quale si generavano quelle turbolenze che andavano a condizionare negativamente l’aerodinamica della vettura che seguiva. Da quel giusto punto di vista è stato chiaro sin dal primo anno che l’obiettivo non era stato del tutto centrato.
Via via che le stagioni si sono dipanate e che le monoposto sono state affinate con lavoro al CFD e in galleria del vento, la problematica è diventata sempre più sensibile, fino a presentare vetture al massimo della loro evoluzione tecnica che non riescono a stare in scia, perdendo molto terreno in curva – specie nei tratti tecnici come le Esse del circuito di Suzuka – determinando quindi l’impossibilità di superare nel momento in cui c’è una sola zona DRS e quando mancano punti in cui si possono facilitare le manovre di sopravanzamento.

F1: le regole 2022–2025 sull’effetto suolo fungano da monito per il futuro
Chi ha scritto il testo normativo di riferimento ha sostanzialmente fallito. Si tratta più o meno della stessa équipe che si occupa delle regole 2026–2030. Questo non vuol dire che Nikolas Tombazis e il suo staff sbaglieranno ancora; si spera che abbiano appreso la lezione e siano riusciti ad inquadrare per bene il da farsi per evitare di generare monoposto che, nella loro evoluzione, arrivino ad esaltare nuovamente quei difetti dai quali si cerca di fuggire.
Non basterà introdurre vetture che nel primo anno superino certi effetti negativi; sarà molto complesso definire una base regolamentare che eviti, per tutti i cinque anni di vita della tela regolamentare, che le vetture riprendano a mostrare il comportamento che Suzuka ha ferocemente delineato.
Bisogna quindi imparare dalla lezione emersa in questi quattro anni per evitare di incorrere negli stessi difetti. La Formula 1 ha una grande occasione ma, al contempo, corre un grande rischio: da un lato può superare certe problematiche con una stagione tecnica del tutto nuova; dall’altro può rischiare di impostare nuovi monopoli, soprattutto se all’inizio qualcuno dovesse “indovinare” la veste aeromeccanica e l’interpretazione delle nuove unità propulsive.
Un cambiamento così radicale, infatti, rischia di impostare un nuovo monopolio, e sarebbe una bella gatta da pelare per una Formula 1 che si muove per piani quinquennali e che quindi fino al 2031 non presenterà veri correttivi nel caso di fallimento.
Con un po’ di fatalismo, c’è da incrociare le dita e sperare che gli uomini della Federazione Internazionale dell’Automobile, imbeccati dal board tecnico di Liberty Media, riescano nei loro intenti per offrire una Formula 1 veramente variabile, in cui girano 22 vetture – ricordiamo al tal proposito l’ingresso del gruppo Cadillac – che possano seguirsi da vicino per generare duelli più sani e che finalmente possano fare a meno del tanto odiato DRS.
Crediti foto: Mercedes-AMG Petronas F1 Team, VCARB, Oracle Red Bull Racing, Scuderia Ferrari HP, McLaren F1
Nell’utilizzare questo scritto si ricordi di citare la fonte, l’autore e/o il titolare dei diritti sui materiali e l’indirizzo web da cui sono stati tratti. Grazie.